25 agosto 2016
Lo sviluppo degli avvenimenti in Turchia in occasione del fallito tentativo di colpo di stato, presenta caratteristiche del tutto particolari.
Ad una fase iniziale, durante la quale si intravvedeva il successo dei rivoltosi, la fuga in aereo di Herdogan, i primi commenti dei Mass Media che indicavano le “giuste” ragioni della rivolta e, infine, il cauto atteggiamento (non certo favorevole ad Herdogan) che, per alcune ore, hanno assunto gli stati occidentali.
Subito dopo, non appena è apparsa prevalere la parte favorevole a Herdogan, le notizie si sono capovolte a suo favore e l’atteggiamento degli stati occidentali è di colpo mutato con messaggi di solidarietà e sostegno.
In una terza fase, a sua volta sviluppatasi entro brevissimo tempo, è stata portata a termine una gigantesca operazione di cattura capillare di migliaia e migliaia di persone:generali, colonnelli, magistrati, prefetti, professori, funzionari di alto livello, soldati e poliziotti, tutti facenti parte di una gigantesca rete sovversiva.
La grandiosità di tale operazione e, soprattutto, la velocità con la quale è stata condotta, lasciano spazio alle seguenti considerazioni:
Certamente esisteva da tempo una organizzazione rivoluzionaria di vasta portata, ramificata ai vari livelli dello Stato;
Certamente Herdogan era da qualche tempo, in possesso di una conoscenza capillare della sua struttura e dei suoi appartenenti, ed aveva preparato una azione rapida e istantanea di cattura di tutta la rete. Solo cosi si giustifica la cattura di migliaia di persone in così breve tempo.
Probabilmente i capi della rivoluzione hanno capito di essere stati scoperti ed hanno deciso di agire, magari senza essere ancora perfettamente organizzati e preparati. Da qui, una delle ragioni del loro fallimento.
A questo punto credo sia non lontano dalla verità che Herdogan, una volta messa a punto la contromossa, abbia addirittura, in qualche modo, innescato la rivolta, per poi poter procedere in conseguenza senza dover dare alcuna spiegazione che sarebbe stata difficile e complicata se avesse agito d’iniziativa, ma che non lo è stato più, nel momento che ha potuto agire contro i golpisti che avevano attentato contro lo Stato democratico. A questo proposito, anche la sua fuga iniziale in aereo appare essere stata organizzata di proposito.
Pur nell’ancora presente confusione di notizie, in un quadro di situazione ricco di tensione, e quindi di difficile lettura dello sviluppo reale degli avvenimenti, delle cause e delle concause, alcuni punti appaiono inequivocabili:
Herdogan aveva, di recente vinto le elezioni democraticamente, si è liberato di tutto un insieme di forze contrarie annidate nella pubblica amministrazione, con un solo colpo non democratico. Oggi è, all’interno, certamente più forte, con qualche sfumatura di potere assoluto.
All’esterno, ha mantenuto le ottime relazioni con la Russia, mentre si sono manifestate tensioni con l’occidente sia a causa della minacciata reintroduzione della condanna a morte che delle ritorsioni sui rivoluzionari catturati. Con gli Usa poi, vi è l’aggravante del problema Fethullah Gulen, ospitato negli Usa e ritenuto ispiratore della rivolta, per il quale la Turchia intende chiedere l’estradizione.
L’occidente ha condizionato la prosecuzione delle discussioni per un’entrata della Turchia nella UE, alla non reintroduzione della pena di morte e alla mancanza di vendette ed epurazioni (quest’ultima condizione mi pare eccessiva e inattuabile).
Ritengo che quanto accaduto sia da considerarsi un problema interno della Turchia, seppur con qualche riflesso in sede internazionale.
La Turchia costituisce un’entità politica di grande peso ed importanza nella sua area e presto le tensioni internazionali si attenueranno nell’interesse generale.
Anche per l’Italia vi è da augurarsi che le tensioni vengano meno, nell’interesse delle nostre esportazioni, evitando il ripetersi di quanto accaduto, a suo tempo, per i rapporti commerciali con Iran prima e con la Russia dopo, quando, sull’altare della solidarietà europea ed occidentale, abbiamo subito gravissimi danni che, in parte ancora scontiamo.
Gen. Luigi Ramponi