Non era mai capitato che ci fossero tre operazioni antiterrorismo in tre giorni consecutivi: dopo il centro islamico di Foggia dove un egiziano indottrinava bambini allo sgozzamento degli infedeli e l’italo marocchino del Torinese che faceva proselitismo sul web e diffondeva manuali in italiano per utilizzare automezzi o coltelli, il 29 marzo la Polizia ha smantellato a Latina la rete di Anis Amri, il tunisino autore della strage al mercatino di Natale di Berlino e ucciso da una pattuglia di poliziotti a Sesto San Giovanni il 23 dicembre scorso. Cinque sono le ordinanze di custodia per addestramento e attività con finalità di terrorismo internazionale e associazione a delinquere finalizzata alla falsificazione di documenti e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, 20 gli indagati, cioè tutti quelli che nel Lazio avevano avuto contatti con Amri. Gli arrestati sono quattro tunisini e un palestinese: l’inchiesta della procura di Roma ha accertato che uno dei tunisini aveva il compito di procurare documenti falsi ad Amri per consentirgli di lasciare l’Italia mentre il palestinese è Abdel Salem Napulsi, già in carcere per droga.

UN FILO LUNGO ANNI

Le tre inchieste sono cominciate parecchio tempo fa e si è deciso di intervenire contemporaneamente perché i frutti erano maturi e perché con la tensione che si alza per le festività pasquali era utile dimostrare che il lavoro oscuro degli investigatori porta a risultati concreti. A casa di Napulsi, oltre a parecchia eroina, è stato trovato un tablet utilizzato per autoaddestramento con una visione definita compulsiva di video jihadisti di propaganda e sull’uso di armi. “Tagliare la gola e i genitali degli infedeli” era ciò che pensava il palestinese. Il pm Sergio Colaiocco ha spiegato che, pur senza elementi concreti sulla preparazione di un attentato, i fermati ci stavano pensando e dunque l’operazione ha evitato che “dalla fase di radicalizzazione si sfociasse in un’attività terroristica”.

Ciò non toglie, naturalmente, che nella riunione straordinaria del Casa (il Comitato di analisi strategica antiterrorismo), presieduta dal ministro Marco Minniti nella serata di mercoledì 28, si sia deciso di intensificare ulteriormente le misure di sicurezza per garantire feste serene a cittadini e turisti. Basti dire che il piano già predisposto dalla questura di Roma prevede 10mila agenti oltre a metal detector e cento telecamere nel tratto tra il Colosseo e il Vaticano in previsione dei sette eventi religiosi che saranno presieduti dal Papa.

L’ANALISI DELL’ANTITERRORISMO

Le inchieste di Foggia e di Latina da un lato e quella di Torino dall’altro hanno caratteristiche diverse. Il militante ceceno dell’Isis Eli Bombataliev, arrestato l’anno scorso, era stato aiutato e ospitato nel centro islamico-moschea di Foggia gestita dell’egiziano Abdel Rahman così come Amri aveva contatti a Latina, pur se non fondamentali per la realizzazione dell’attentato. Dunque, dal caso Amri a oggi le indagini sono proseguite per fare pulizia. Come dice un investigatore dell’antiterrorismo, “se Amri era il cancro, a Latina c’erano le metastasi”. Va comunque ricordato che il monitoraggio di moschee e centri è costante da anni e che in tanti casi gli imam collaborano con la Polizia. All’attività “visibile” si affianca quella virtuale: è il caso di Torino dove il giovane italo-marocchino Elmahdi Halili svolgeva una frenetica attività di indottrinamento e di reclutamento sul web. Le indagini dunque seguono un doppio binario, anche se è impossibile sapere quale e quanto effetto abbia un’attività online così diffusa e ripetuta. Certo è che si stanno moltiplicando i casi di soggetti che hanno acquisito la cittadinanza italiana e che dunque hanno giurato sulla Costituzione per giurare successivamente fedeltà all’Isis: sarebbe giusto in questi casi togliere loro la cittadinanza.

IL COMPITO DELLA POLITICA

Le inchieste non si fermano qui, anche perché ogni operazione di questo tipo porta a successivi risultati nel 60-70 per cento dei casi. Quello che è invece urgente è una presa di coscienza del mondo politico nel suo insieme e soprattutto del nuovo Parlamento. Già abbiamo avuto modo di ricordare che non sono stati ricandidati alcuni tra i parlamentari più esperti in materia di terrorismo e dintorni (Andrea Manciulli, Stefano Dambruoso, Nicola Latorre), un errore che costerà caro in una fase di confusione politica parallela a un aumento della tensione geopolitica e dei rischi legati al terrorismo mentre dalla Francia, che ha più problemi di noi, chiedono consiglio a Manciulli. Ecco perché, essendo finita la campagna elettorale, stona la dichiarazione di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che a commento dell’operazione di Latina ha chiesto di approvare “subito un provvedimento d’urgenza a difesa della sicurezza nazionale” per “l’espulsione immediata di tutti i soggetti radicalizzati”. Non serve una legislazione d’emergenza, l’Italia ha combattuto e vinto in passato con lo Stato di diritto e da tre anni le espulsioni dei soggetti a rischio continuano a ritmi sempre più elevati. Serve compattezza politica e sostegno a chi è in prima linea: è vero, c’è chi come Maurizio Gasparri (FI) si complimenta con chi ha svolto queste azioni di prevenzione, ma in una fase di transizione in cui non si conosce il prossimo presidente del Consiglio e tantomeno chi siederà al Viminale, sarebbero utili dei segnali di vicinanza e di sostegno a chi combatte i terroristi ogni giorno. Segnali privati, senza comunicati stampa.

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