La dichiarazione è stata rilasciata durante la firma di un patto con cui i due leader cercheranno di stabilire una pace “permanente” e “solida” sulla penisola. Le due Coree hanno promesso di allentare le tensioni militari, collaborare per raggiungere un regime di pace e lavorare per una regione senza nucleare.
La cosa importante è che per la prima volta Pyongyang parla ufficialmente di denuclearizzazione: l’inserimento della parola nel testo concordato – misurato in ogni virgola dagli staff dei leader coreani – è in realtà una vittoria che il presidente Moon può portare in dote a Washington. L’argomento sarà sicuramente approfondito nel prossimo vertice (a maggio o giugno) con il presidente americano Donald Trump, che però adesso si troverà la strada spianata.
Ma c’è una questione semantica che non è da poco: Stati Uniti e Corea del Nord hanno apparentemente un’interpretazione diversa per il termine denuclearizzazione – i primi intendono lo smantellamento dell’arsenale, gli altri forse solo lo stop dei test – tanto che la portavoce del dipartimento di Stato due settimane fa si è trovata in difficoltà per rispondere a una domanda a proposito. Su questo ruoterà l’incontro Trump/Kim, con il presidente americano che cercherà di strappare un deal chiaro.
Intanto le due Coree si sono inoltre impegnati a migliorare le relazioni reciproche (Kim sa che il Nord ha bisogno di espandere la propria economia, bombardata dalle sanzioni internazionali), e lavorare verso una prosperità comune per raggiungere un “futuro di unificazione”.
La zona denuclearizzata che segna il confine tra le porzioni della penisola coreana verrà ribattezzata “zona di pace”, un nome simbolico come molti dei passaggi che hanno segnato il vertice tra i due leader. “Oggi siamo sulla linea di partenza, dove si sta scrivendo una nuova storia di pace, prosperità e relazioni intercoreane”, ha detto Kim, ringraziando Moon per il successo del meeting.
Da lì partiranno colloqui di vario carattere, economico, militare, diplomatico, con la partecipazione di attori esterni, come gli Stati Uniti. Trump si sente parte del processo: ha già ringraziato per il successo dell’incontro, e ha chiesto di ricordare che tutto è andato bene anche perché il suo “grande amico Xi”, il presidente cinese Xi Jinping (che Trump descrive a volte come amico a volte come nemico), si è adoperato positivamente.
Please do not forget the great help that my good friend, President Xi of China, has given to the United States, particularly at the Border of North Korea. Without him it would have been a much longer, tougher, process!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 27 aprile 2018
Moon intanto sta pianificando un altro storico viaggio: dovrebbe andare a Pyongyang in autunno. Durante un briefing davanti alle telecamere, Kim ha detto: “Ho sentito che [il presidente Moon] ha avuto il sonno mattutino disturbato molte volte per partecipare alle riunioni del Consiglio di sicurezza nazionale. Farò in modo che il tuo sonno mattutino non sia più disturbato”.
Reazioni positive da ogni angolo del mondo, la più fredda – forse l’unica – da Tokyo, alleato americano e partner in concorrenza della Corea del Sud: il premier Shinzo Abe mantiene la linea più dura nei confronti di Kim, e ha chiesto che adesso, dopo le cerimonie e cotillon, arrivino le “discussioni serie”, quelle che portano a passi concreti.
(Foto: CC BY-SA 2.0)