Nessun ritiro: l’Afghanistan resta la priorità operativa della Nato. Parola di Jens Stoltenberg, segretario generale dell’Alleanza Atlantica, che ha così commentato l’incontro avuto oggi con il rappresentante speciale degli Stati Uniti per la riconciliazione nel Paese, l’ambasciatore Zalmay Khalilzad.

LE PAROLE DI STOLTENBERG

È stato quest’ultimo a informare tutti i 41 partner operativi dell’Alleanza e della missione Resolute Support sugli ultimi sforzi a sostegno della pace in Afghanistan. I negoziati procedono, ma non consentono ancora di poter pensare a un prossimo ritiro, per quanto progressivo. “L’Afghanistan rimane la massima priorità operativa della Nato e, insieme ai nostri partner operativi, restiamo fedeli al nostro obiettivo di garantire che non diventi mai una piattaforma per esportare il terrorismo”, ha dunque spiegato Stoltenberg. “L’ambasciatore Khalilzad – ha aggiunto ha creato una vera piattaforma per le discussioni di pace e questo problema è ora in cima all’agenda di tutti gli attori politici afgani e del popolo afgano in generale”.

LA MISSIONE

Lanciata nel gennaio del 2015, la missione internazionale Resolute Support ha ereditato l’impegno della precedente Isaf, partita all’indomani dell’attacco dell’11 settembre come unico esempio nella storia della Nato dell’attivazione dell’art. 5 del Trattato del nord Altantico, quello che impegna gli alleati alla difesa collettiva. Rispetto alla missione precedente, Resolute Support è focalizzata su assistenza, addestramento e consulenza nei confronti delle Forze di difesa e di sicurezza afghane. Nell’ultimo report annuale (2018) contava oltre 16mila unità, di cui 8.400 statunitensi, 1.300 tedeschi e circa 900 italiani (ora ridotti a 800). A questi numeri va comunque aggiunto l’impegno che gli Stati Uniti hanno messo in campo nella missione bilaterale di contrasto al terrorismo in cooperazione con le Forze afghane, che li vede impegnati con circa seimila unità.

L’UNITÀ DELL’ALLEANZA…

Già a febbraio, quando i tweet di Trump sul ritiro statunitense avevano alimentato il dibattito internazionale, dalla riunione dei ministri della Difesa dell’Alleanza era arrivato un segnale di unità sul dossier. “Non ci sarà nessun ritiro unilaterale di truppe dall’Afghanistan”, aveva assicurato il numero uno del Pentagono Patrick Shanahan, giunto a Bruxelles appena dopo una visita ai contingenti di Iraq e Afghanistan. “Questo è stato il messaggio della ministeriale: saremo coordinati e uniti”, aveva aggiunto. Di fondo resta comunque la volontà espressa dagli Stati Uniti sulla scia dei colloqui di pace dei talebani, e cioè il ritiro (ormai spostato più avanti) di buona parte dei 14 mila soldati americani attualmente presenti nel Paese.

…E LA LINEA DELLA CONTINUITÀ

Sulle missioni internazionali tuttavia serve continuità, e questa è anche la linea italiana. A spiegarlo è stato il ministro della Difesa Elisabetta Trenta, che la scorsa settimana ha delineato alle commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato il nuovo decreto missioni. Presentato alle Camere a fine aprile (dopo un ritardo piuttosto prolungato), esso conferma tutti gli impegni dei militari italiani all’estero, Afghanistan compreso. La deliberazione dell’esecutivo italiano prevede per la partecipazione a Resolute Support un impiego massimo di 800 militari anche per il 2019, con la riduzione di un centinaio di unità rispetto allo scorso anno già annunciata ed effettiva nella precedente proroga relativa agli ultimi mesi del 2018. Numeri diversi rispetto a quanto in molti avevano temuto (per i possibili effetti in termini di operatività e credibilità) a fine gennaio, quando il ministro della Difesa diede disposizione al Comando operativo di vertice interforze (il Coi) di valutare la pianificazione per un ritiro completo dei 900 militari italiani presenti nel Paese, con un orizzonte temporale che “potrebbe essere quello di 12 mesi”. Normale programmazione, era stata poi la linea di palazzo Baracchini.

“NON SI PUÒ ANDARE VIA E BASTA”

E infatti, ha spiegato la Trenta alle commissioni la settimana scorsa, l’Italia “non può andare via e basta”. D’altra parte, ha aggiunto, “in ambito Nato abbiamo detto che tutti insieme siamo arrivati e che tutti insieme andremo via: ci dobbiamo coordinare per farlo”. Così, “dobbiamo restare almeno fino alle elezioni (le presidenziali si terranno a settembre, ndr) e poi dobbiamo vedere quello che succede; se le condizioni dovessero cambiare velocemente, abbiamo delle responsabilità nei confronti dell’Afghanistan e dei nostri uomini che si trovano lì; se gli Usa dimezzassero all’improvviso la loro presenza, diventerebbe rischioso e pericoloso restare nelle condizioni attuali nelle basi dove siamo”.

I NUMERI

I soldati italiani conservano compiti prevalenti di training e advising, con una partecipazione che negli anni ha garantito al nostro Paese grande apprezzamento e conseguente credibilità da sfruttare anche nei contesti politici dell’Alleanza Atlantica. In ogni caso, si legge nel documento governativo, “per il 2019 il contributo nazionale sarà progressivamente ridotto, comunque non prima della conclusione del processo elettorale per la nomina del nuovo presidente fino a un numero massimo di personale in teatro operativo pari a 700 unità entro la fine del mese di luglio 2019”. Resta dunque l’intenzione di valutare una rimodulazione, ma anche di “confermare il nostro ruolo di Framework nation, continuando a contribuire alla missione nel contesto dell’ampio e variegato sostegno del nostro Paese agli sforzi per assicurare stabilità, pace, democrazia e sviluppo in Afghanistan”.

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