A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, abbiamo dialogato con Salvatore Santangelo, docente di Geografia delle lingue presso l’Università di Tor Vergata e autore di “GeRussia”, saggio sui rapporti fra Germania e Russia edito da Castelvecchi.

Ancora oggi nei mercatini di Berlino è possibile imbattersi in banchetti che espongono “autentici” frammenti del Muro. A più di 30 anni dal suo abbattimento la barriera eretta per separare Berlino Est dalla parte occidentale della città continua infatti a conservare la propria densità simbolica.
Cosa ha rappresentato il Muro per la storia europea?

Il Muro rappresentava plasticamente la fine delle ambizioni globali del Vecchio Continente; con il suo cuore geopolitico spartito in aree di influenze imposte da potenze extra-continentali. Usa e Urss sono stati i veri vincitori, militari e ideologici, di quella che Winston Churchill aveva ribattezzato la “Seconda Guerra dei Trent’anni”; il cui obiettivo, come già si evince dalla scelta terminologica, è stato quello di impedire l’ascesa della Germania guglielmina prima, e ogni tentativo di unificazione dell’Europa poi. Anche Gran Bretagna e Francia (e ciò è stato ancor più chiaro con la crisi di Suez e la disgregazione dei loro imperi coloniali) – nonostante il ruolo di presunte vincitrici, il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e la dotazione nucleare – sono state confinate in posizioni di assoluta  subalternità. La Caduta del muro, la riunificazione e il l Collasso dell’Urss hanno profondamente ridisegnato i confini della carta d’Europa, accelerando due processi: l’ampliamento del sinonimo comunitario e l’affermazione della globalizzazione. Infatti il 1989 non può essere compreso se non viene  inserito in una specifica cronologia, scandita da altri anni “fatali”: il 1990 (la Riunificazione tedesca), il 1991 (la disgregazione dell’URSS), il 1992 (l’ingresso della Cina nel Wto e la firma del Trattato di Maastricht).

Germania e Stati Uniti sembrano divergere. Il segretario di Stato americano Pompeo è sembrato proprio rimarcare come le classi dirigenti tedesche si stiano pericolosamente avvicinando a Russia e Cina. Le direttrici della politica estera tedesca sono ormai confliggenti con il partner transatlantico?

La catena di eventi scatenati da quei fatidici giorni del novembre 1989 ha generato un’onda lunga che – come dicevamo – ha mutato consolidati equilibri geopolitici. Già nel 2003, prima dell’attacco americano all’Iraq, avevamo registrato a Berlino, ma anche a Parigi, degli inediti (e precedentemente impensabili) distinguo rispetto alla politica bellicista di stampo neocon. Le posizioni si sono ulteriormente divaricate con la crisi economica del 2008 e con l’elezione del presidente Trump. Anche se vanno spiegate bene alcune posizioni: nei confronti della Russia (come scrivo in GeRussia), Berlino porta avanti un percorso che sfida i diktat americani sia perché Mosca è il primo fornitore di gas e petrolio per le sue energivore industrie, sia perché nessuno nella Capitale tedesca vuole farsi dettare l’agenda dai nostri alleati a Est, ossessionati da una russofobia ormai fuori dal tempo, alimentata da quello Stato profondo statunitense – ostile anche a Trump – ancora dominato da un partito antisovietico (che nel frattempo è diventato “semplicemente” antirusso) che – a distanza di 30 anni – tiene in mano le redini delle agenzie di intelligence e del Complesso militar-industriale. Anche Trump che, non riesce a domare queste spinte, è contro la Germania ma per altri motivi – e questo è chiarissimo sulla vicenda Huawei. Lo è per la per la sua vicinanza alla Cina. In effetti, Pechino e Berlino sono oggi i veri vincitori del trentennio della globalizzazione; a scapito soprattutto degli Stati Uniti che hanno subito un violento processo di de-industrializzazione. E oggi sono unite nel tentativo di tenere (ancora) aperto il mondo, i commerci globali, anzi di renderli ancor più forti grazie a poderose vie di comunicazione fisiche (la Nuova Via della Seta) e informatiche (la loro collaborazione sul versante del 5G) per consolidare il proprio primato.

A 30 anni dalla caduta del Muro il trauma della riunificazione sembra non essersi ancora appianato. La divisione fra populisti e globalisti è declinata, infatti, nella netta distinzione fra le regioni occidentali e quelle orientali. Le anime della Germanie sono molte…

Va comunque detto che in trent’anni hanno fatto molto più di quello che abbiamo fatto in 150 in Italia per colmare la distanza tra il nord e il sud del nostro Paese.

Il fenomeno che tu fotografi nella domanda, in realtà si presenta in ogni Paese: vincitori e vinti della globalizzazione, le periferie contro il centro. In Francia i gilet gialli contro Parigi, negli Stati Uniti la “cintura della ruggine” contro New York, Washington e la Silicon Valley. In Italia questo fenomeno ha delle caratteristiche peculiari, nel 2018 il Sud ha scelto i pentastellati e il Nord la Lega: il Governo gialloverde come esperimento di istituzionalizzazione delle spinte anti establishment (incarnato dal Pd, dalla Presidenza della Repubblica, da Confindustria e sindacati). La crescita esplosiva della Lega e il conseguente sbilanciamento dell’alleanza, hanno fatto saltare il Governo, tenendo ancora sopite le contraddizioni del Partito di Salvini che ha le sue roccaforti nel Nord produttivo, profondamente integrato in Europa (e in particolare con la Germania) e perfettamente “a suo agio” con l’Euro, ma oggi dilaga anche nel resto del Paese nutrendosi della rabbia e dell’insoddisfazione generata dall’immigrazione, dalla crisi del welfare e dalla contrazione della Spesa pubblica. Sarà interessante capire come la classe dirigente leghista riuscirà a tenere insieme istanze così diverse e contrastanti (come si possono coniugare Flat tax e Quota 100, uno Stato snello e federale con un Welfare State in espansione?).

Lenin diceva che “Chi conquista la Germania, domina l’Europa”. Lo Stato tedesco è il perno dell’Unione Europea e un suo – preannunciato – indebolimento economico, in combinato disposto con una frammentazione politica, potrebbe portare allo sconquassamento del sovrastato europeo come lo conosciamo. Quali sono gli scenari futuri?

Concordo totalmente con Lenin, al punto da ritenere che, in fondo, la Guerra fredda è stata una lotta per il futuro della Germania. Quel conflitto che oggi ci appare così lontano e che si alimentava di contrapposizione ideologica, culturale, tecnologica e (più di quello che si pensi) militare, ha avuto il controllo del nostro Continente come obiettivo finale, e l’Asia come suo campo di battaglia d’elezione (dalla Corea al Vietnam fino all’Afghanistan). Una dinamica che potrebbe tornare a ripetersi.

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