Come leggere il rapporto degli 007 Usa sulla morte di Khashoggi e il coinvolgimento del principe saudita Bin Salman? Risponde il generale Carlo Jean

“Un modo per riequilibrare i rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita, troppo sbilanciatisi verso Riad nell’era di Donald Trump, ma anche per facilitare il dialogo che Joe Biden vuole riaprire con l’Iran sull’accordo nucleare”. Così il generale Carlo Jean definisce, conversando con Formiche.net, la pubblicazione dell’atteso rapporto dell’intelligence statunitense sul coinvolgimento del principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.

Il generale Jean sottolinea come durante i quattro anni di Trump alla Casa Bianca — culminati negli Accordi di Abramo con Israele e i Paesi sunniti — l’Iran sia rimasto isolato nella regione. Il tentativo della nuova amministrazione a Washington “è coinvolgere nuovamente Teheran e raggiungere un’intesa che includa anche il programma missilistico”. “È un dialogo che si trascinerà molto molto a lungo e che ha poco a che fare con le elezioni iraniane” in agenda a metà giugno, continua. La chiusura di un nuovo accordo prima del voto non sembra quindi una priorità per Teheran, neanche per l’esecutivo uscente di Hassan Rouhani che potrebbe voler ottenere un successo diplomatico a uso elettorale. “Non dimentichiamo”, evidenzia Jean, “che il patriottismo in Iran è molto molto forte e il ricordo di quanto fatto da Stati Uniti e Regno Unito ai tempi di Mohammad Mossadeq brucia ancora fortemente nell’immaginario collettivo del Paese. Lo stesso dicasi assieme per il supporto statunitense all’Iraq negli anni Ottanta”. È indubbio però, aggiunge, che “questa mossa statunitense può essere funzionale anche a riprendere il dialogo con gli elementi moderati” a Teheran dopo l’allontanamento durante l’era Trump.

Per l’Unione europea, invece, il caso Khashoggi/Bin Salman ha “un’importanza assai relativa”, sostiene Jean. “A differenza degli Stati Uniti che credono nei diritti umani, in Europa vige da sempre la ragione di Stato. E l’abbiamo visto anche recentemente nel caso dell’accordo sugli investimenti con la Cina o in quello del rifiuto della Germania di discutere del gasdotto russo Nord Stream 2”.

Ciò si interseca con un altro discorso che tiene banco sulle due sponde dell’Atlantico: il progetto di Biden di un “forum delle democrazie”, che però, come spiegato anche recentemente su Formiche.net, trova i Paesi europei piuttosto restii, spaventati dal rischio di un’escalation con la Cina. “Gli Stati Uniti hanno visione strategica unitaria dei loro rapporti con altri Paesi”, ribadisce Jean. “Noi europei trattiamo rapporti in maniera separata: il lato economico da una parte, quello strategico all’altra. E ciò creerà inevitabilmente problemi transatlantici”.

Problemi a cui su intrecciano alcuni interrogativi che ormai tengono banco da mesi nel dibattito tra le due sponde dell’Atlantico: che cosa significa l’autonomia strategica invocata dalla Commissione europea? A che cosa serve? A rafforzare i legami con gli Stati Uniti o per diminuire l’importanza dello storico alleato? La strada, secondo Jean, è quella tracciata dal presidente francese Emmanuel Macron: “Serve aprire alla Russia, che è indebolita e teme l’avanzata cinese, per diminuire l’importanza della Nato sul fronte orientale dopo che gli Stati Uniti già su altri (come Libia, Turchia e Medio Oriente in generale) si sono staccati dai tempi di Barack Obama”. Tradotto: gli europei devono impegnarsi di più nella loro difesa per lasciare che gli Stati Uniti possano concentrare forze e risorse su altri quadranti. A partire dall’Indo-pacifico.

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