di Pietro Fiocchi

Si chiamano Rubezh 2010 (Frontiera 2010), sono le esercitazioni militari antiterrorismo che la Forza di reazione rapida dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva (www.dkb.gov.ru) svolgerà i prossimi 26 e 27 aprile nell’ex repubblica sovietica del Tajikistan. Gli Stati Maggiori dei Paesi coinvolti sono al lavoro da settimane per preparare queste operazioni, che serviranno in particolare come addestramento alle presa di decisioni sull’impiego delle forze e dei mezzi di fronte alle possibili emergenze.

Un inizio di primavera movimentato da imponenti manovre anche sul fronte occidentale. Dal 17 al 20 marzo, nello spazio aereo dei Paesi baltici, le aviazioni militari di Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, Francia e Stati Uniti, sono state protagoniste del Baltic Region Training Event: organizzate nell’ambito Nato, sono a quanto pare le prime di una lunga serie di simili esercitazioni nella stessa regione.

Altro fatto degno di nota, è l’arrivo in Polonia, previsto per questi primi giorni di aprile, sia di militari di Washington, sia di missili Patriot che saranno dislocati a poche decine di chilometri  con la frontiera russa (regione di Kaliningrad). Questo per cominciare. A partire dal 2015 ci saranno anche gli intercettori SM-3. In questo Mosca ci vede il temuto scudo antimissile che prende forma. Per il Dipartimento di Stato Usa è semplicemente la volontà di Varsavia che intende incrementare la propria difesa antiaerea.

Per inquadrare la direzione di queste dinamiche si potrebbe forse riflettere sulle attuali relazioni tra il Cremlino e l’Alleanza atlantica. La recente missione del Gruppo dei Saggi a Mosca, guidati da Madeleine Albright, per illustrare la nuova strategia della Nato, non ha riscosso il successo sperato. Eloquente, a proposito, è stato il commento del vice presidente della Duma Vladimir Zhirinovskij: “Questo tipo di incontri è utile, comunque va a finire che l’Alleanza fa solo ciò che è nei suoi interessi, evita le domande e le risposte scomode, in particolare quelle relative allo scudo anti missile in Romania”. Zhirinovskij, che è anche il leader storico del Partito liberal-democratico (www.ldpr.ru), è noto in patria e non solo, per le sue esternazioni poco ortodosse, che però molto spesso risultano descrivere bene sentimenti e  punti di vista dei russi, vertici e popolazione.

Non sarebbe da sottovalutare neanche quanto espresso, nella stessa occasione, dal presidente della Commissione Affari internazionali presso la Duma Konstantin Kosačev: la Nato deve tener conto della nuova dottrina militare russa, che annovera l’allargamento dell’Alleanza tra le minacce per la sicurezza della Russia. La nuova dottrina (approvata e pubblicata dal capo del Cremlino Dmitrij Medvedev il 5 febbraio scorso) del resto ha però un approccio pratico ai problemi: in caso di pericolo imminente, si può ricorrere all’attacco nucleare preventivo.

Non si può dire però che da parte di Mosca, o delle realtà in cui essa è protagonista, manchi disponibilità al dialogo e alla cooperazione, soprattutto se si tratta di difesa. Qualche settimana fa Nikolaj Bordjuzha, segretario generale dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva (Otsc), era a Bruxelles dove è intervenuto ad un dibattito dell’East-West Institute (www.ewi.info) per far sapere che l’Otsc è pronta e vuole fare la sua parte in Afghanistan, possibilmente in collaborazione con la Nato. Non ci sono tra le due contatti ufficiali, si potrebbe tuttavia affrontare insieme alcune questioni, come la lotta al narcotraffico e al terrorismo. Del resto, come ha fatto notare Bordjuzha, l’Otsc ha già una stretta cooperazione con l’Onu e con l’Osce. E’ provvista, e non è un dettaglio, di una Forza di reazione rapida di recente costituzione (l’accordo è stato sottoscritto dai Paesi membri nel 2009 a Mosca, escluso l’Uzbekistan) intesa ad operare per respingere un’aggressione armata, combattere il terrorismo internazionale e il crimine transnazionale organizzato, il traffico di stupefacenti e fare fronte alle calamità naturali. Una simile struttura potrebbe dare un apporto decisivo nella faccenda afghana. Tanto più che territorio e scenari di intervento sarebbero in buona parte simili a quelli che caratterizzano i Paesi membri dell’Otsc.

Per ora niente da fare. A tutte le proposte l’Alleanza ha sempre risposto di essere pronta a lavorare con i singoli governi e non con il loro insieme, nell’ambito dell’Organizzazione. “I nostri partner della Nato rifiutano una cooperazione vantaggiosa ed equa con l’Otsc per ragioni puramente ideologiche”, è stato il commento del ministro russo degli Esteri Sergej Lavrov. In ogni caso bisogna “tenere la porta aperta a dei rapporti leali e progetti comuni”. Non perde la speranza il capo della diplomazia del Cremlino.

Sempre in tema, ma prestando attenzione ad un altro interlocutore, non si può non registrare la chiarezza di idee del presidente Medvedev, che di una cosa ha preso coscienza: “la reazione all’iniziativa russa di concludere il trattato di sicurezza europea è un barometro delle relazioni tra noi e gli Stati Uniti, tra noi e la Nato. La disposizione dei nostri partner a confermare, sotto una forma giuridicamente vincolante, il loro attaccamento al principio di indivisibilità della sicurezza in Europa, sarà determinante a tal fine”. Il progetto di Medvedev, per uno spazio euro-atlantico da Vancouver a Vladivostok è stato pubblicato sul sito del Cremlino (www.kremlin.ru) lo scorso novembre. Gli ambasciatori di Mosca lo hanno promosso nel mondo, a cominciare da Alleanza atlantica e Casa Bianca. Finora in risposta niente di concreto, a parte le congratulazioni di qualcuno per l’interessante e articolata proposta. Da parte russa, i rappresentanti delle istituzioni esprimono perplessità per il fatto che gli invitati non accorrano a sottoscrivere un trattato che sancisce pochi e fondamentali principi: il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, il non ricorso alla forza, il controllo degli armamenti e il principio secondo il quale nessuna organizzazione internazionale ha il diritto esclusivo di garantire la sicurezza in Europa.

C’è però, proprio in Europa, un piccolo Paese, un alleato storico della Russia che potrebbe con i prossimi sviluppi rivelarsi prezioso: la Serbia. Nella sua ultima visita a Belgrado, lo scorso ottobre, intervenendo in Parlamento Medvedev ha dichiarato di voler fare del Paese balcanico una sorta di hub energetico per tutta l’area europea. C’è di mezzo l’accordo per il progetto del gasdotto South Stream (www.south-stream.info), in cui la Serbia avrà a quanto pare un ruolo privilegiato. Mosca con l’occasione ha anche istituito un Centro umanitario per le operazioni di protezione civile, tra cui anche di antiterrorismo: è prevista la presenza di squadre speciali militari russe e serbe. Il Centro sorgerà nei pressi di Niš, non lontano dal Kosovo e dalla base americana di Bondstil. Sarà un caso? Certo è che all’occorrenza il centro umanitario ci metterà poco a diventare un avamposto armato.

Le parole e le prospettive offerte dal leader russo devono aver fatto colpo. Poche settimane dopo il vertice, anche Belgrado voleva aderire all’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, in qualità di osservatore o di membro associato.

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