LE STRUTTURE POLITICO-MILITARI DELL’UE

Le principali strutture politico-militari dell’Ue sono:

  • il COPS: Comitato Politico e di Sicurezza;
  • il CMUE: Comitato Militare UE;
  • il CIVCOM: per la trattazione aspetti civili;
  • l’EUMS: Stato Maggiore Europeo;
  • un centro situazione;
  • un centro satellitare per il monitoraggio a supporto PE.

Il trattato dell’UE di Lisbona del 2007, entrato in vigore il 1 dicembre del 2009, ha inteso potenziare i poteri dell’Alto rappresentante per la PESC, che sarà anche il vicepresidente della Commissione Europea.

Gli interessi di Unione Europea e NATO, però, si intersecano ancora. Mentre cresce la volontà europea di avere una propria autonomia, si rafforza il ruolo della NATO.

I ministri degli esteri dei paesi della NATO nel 1996, infatti,  nella riunione tenutasi a Berlino, convenivano nel promuovere un’identità di sicurezza e difesa europea proprio nell’ambito della NATO. L’obiettivo era creare un pilastro europeo nel campo della difesa, secondo il concetto delle “forze separabili ma non separate”  da quelle dell’Alleanza Atlantica. L’accordo fu denominato “Berlin plus” (con riferimento alla disponibilità dell’Unione della capacità di pianificazione della NATO) e prevedeva forze operanti sia sotto comando o egida UE, sia sotto comando o egida NATO.

Nel 1999, a Colonia, si decise di incorporare l’UEO nell’ambito dell’UE: con l’ingresso dei Paesi europei dell’est non si chiama più Unione Europea Occidentale ma Unione Europea tout-court.

Prende corpo però una preoccupazione: con il crescere dell’indipendenza nella formulazione di un programma per la sicurezza da parte dell’Unione Europea, il ruolo della NATO si indebolisce.

L’Unione Europea, infatti, è già allargata, o in fase di allargamento considerevole verso l’est: con il Berlino plus ritroviamo le stesse forze militari e capacità di intervento che andranno a costituire basi comuni per l’UEO e per la NATO.

Emerge anche un nuovo vincolo: l’Unione Europea può intervenire solo qualora la NATO decidesse di non partecipare a delle missioni o se la NATO decide di proseguire quella missione sotto l’egida dell’Unione Europea.

Tralasciando il percorso politico e militare di NATO e UEO (ci sono, infatti, cadenze impressionanti di vertici e di conferenze), di seguito si riporta la situazione che di fatto ne scaturisce:

– la Francia entra nella NATO e con altri partners europei, tra cui la Germania, sollecita una maggiore integrazione tra Unione Europea e NATO;

– gli Stati Uniti non vedono più nella PESD dell’Unione una concorrente della NATO, ma considerano anzi che i due organismi possono andare avanti insieme.

Ricordiamo il concetto di “insieme”: “forze separabili ma non separate”.

L’Unione Europea è sollecitata a dotarsi di uno strumento militare compatibile con le forze di reazione rapide della NATO, che significa per l’Unione Europea il raggiungimento di una quota di 60.000 militari in grado di operare con uno spiegamento veloce in 60 giorni per la permanenza di un anno, in qualunque parte del mondo (ricordiamo il superamento dei confini della NATO). Questo spiegamento assume, inoltre, una valenza professionale di controguerriglia, cioè all’interno di questi 60.000 militari ci devono essere dei gruppi tattici di combattimento con specificità di controguerriglia.

All’enunciazione seguono i fatti. Abbiamo già visto infatti come forze sotto egida UE

Fra alti e bassi la tendenza non pare subire mutamenti significativi. Le valutazioni sulle questioni legate alla sicurezza compiute dalla NATO e dall’UE sono molto simili, tanto che le due organizzazioni con 19 paesi membri in comune hanno al riguardo un’agenda pressoché identica.

La direttiva politica globale emessa dall’alleanza atlantica in occasione del vertice di Riga del 2006 fa riferimento ad accordi intercorsi con l’Unione Europea circa le procedure per assicurare uno sviluppo di capacità richieste e condivise da ambedue le organizzazioni (UE e NATO) che sia coerente, trasparente e reciprocamente sostenute dalle due alleanze.

Anche il concetto strategico della NATO, risalente al 1999, sottolinea l’importanza della cooperazione tra NATO e UE.

La strategia europea per la sicurezza elaborata dai Ministri degli esteri europei e dai Capi di governo nel 2003 evidenzia i comuni interessi, stabilendo che uno degli elementi fondamentali del sistema internazionale è la relazione con la NATO, che è un’importante espressione di questo sistema.

Molti osservatori, tuttavia, vedono questa relazione NATO-Unione Europea densa di difficoltà. Secondo questi osservatori, nonostante alcuni progressi conseguiti negli ultimi anni, la relazione NATO-Unione Europea rimane inadeguata e non efficiente.

I problemi, piuttosto che a livello operativo (cioè a livello di supporto e di azioni militari), sarebbero da localizzare nelle sfere burocratiche di Bruxelles, dove, si ricordi, hanno sede entrambi, sia la NATO che la Comunità Europea.

Sembra che il fattore decisivo – almeno così viene valutato – responsabile dell’attuale situazione di stallo, sia da rintracciare nell’atteggiamento della Francia, che fino alla  elezione di Sarkozy tentava di impedire che i contatti tra NATO e UE fossero sempre più intensi e positivi, in quanto ritenuti di ostacolo alla  crescita dei progetti di difesa comune europea.

Anche la Francia cambia completamente posizione con l’elezione di Sarkozy, che secondo sempre molti osservatori, comporta un significativo mutamento nell’atteggiamento francese verso la NATO.

In particolar modo, il neo Presidente ha espresso più volte l’intenzione di far rientrare la Francia nell’alleanza atlantica – dalla quale uscì nel 1966 per opera di De Gaulle – ed ha approfittato del semestre di presidenza dell’Unione Europea per rilanciare la politica estera di sicurezza e difesa dell’UE.

Infatti, nel semestre di presidenza francese dell’UE è stato più volte ribadita la necessità – parole di Sarkozy – “che noi alleati e partners europei miglioriamo le nostre capacità militari: questo rafforzerà sia l’UE che la NATO”. Non lasciando spazio ad equivoci sulle sue intenzioni, Sarkozy conclude così: “Le due organizzazioni sono complementari e si rafforzeranno a vicenda”.

Nonostante queste dichiarazioni estremamente rassicuranti, larghi settori della dirigenza politica e militare francese non sono però d’accordo e rimangono profondamente intenzionati ad ostacolare l’ingresso della Francia nell’Alleanza Atlantica, ritenendo che l’ingresso dell’UE nell’Alleanza vada di fatto ai danni della sovranità militare del vecchio continente.

Per stabilire un punto fermo, il più possibile aggiornato, bisogna fare riferimento alla riunione dell’Europarlamento del febbraio 2009, nella quale non si è mancato di discutere, alla presenza dell’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza europea, i rapporti tra l’Unione Europea e l’alleanza atlantica: secondo alcuni osservatori, molto critici al riguardo, è stata sollevata la questione della piena sudditanza del vecchio continente all’organizzazione militare voluta dall’impero a stelle e strisce.

Per chiudere, circa “l’abbraccio idilliaco” della Francia  alla NATO, si riportano delle affermazioni di Sarkozy nel marzo di quest’anno, che ha sostenuto, di fronte a una platea di militari e di esperti della difesa riuniti a Parigi, che è giunto il momento di mettere fine a questa situazione (di esclusione dalla NATO), perché è negli interessi della Francia e dell’Europa stare nell’alleanza.

La Francia manterrà, tuttavia, al di fuori delle strutture NATO le sue armi nucleari, (seguendo quanto fatto da Stati Uniti e Gran Bretagna) ed entrerà appieno nel comando integrato NATO, da cui era uscita nel 1966, solo per quanto concerne le armi convenzionali.

I RAPPORTI NATO RUSSIA

Facciamo il punto nei rapporti NATO-Russia. Nel corso degli anni ’90, fino al 2002 – e sottolineiamo, in un contesto di forte debolezza – l’Unione Sovietica ha manifestato, con oscillazioni alterne, l’intenzione di aderire alla NATO con uno status speciale e, nel contempo, tentava inutilmente di impedire che i suoi “vicini” aderissero.

Gli sviluppi del rapporto sono caratterizzati da tre principali vicende:

1) in Bosnia-Erzegovina l’uso della forza NATO-USA ha visto la partecipazione di  truppe russe sotto comando NATO;

2) l’invito della NATO nel 1997 a Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia e la loro successiva adesione nel 1999. La Russia, impotente e debole, accetta come contropartita di costituire un Consiglio permanente di consultazione Russia-NATO;

3) le campagne aeree, nel 1999, della NATO sul Kosovo contro la Repubblica Federale Jugoslava, malgrado il veto di Russia e di Cina.

Nonostante tutto ciò la Russia, comunque, ha continuato a partecipare alle operazioni di pace nella Bosnia-Erzegovina e in Kosovo, ed a tenere in vita, seppure in un clima di grande freddezza, il consiglio permanente di consultazione (PJC) con la NATO.

Nella missione in Afghanistan, fianco vulnerabile della Russia a causa del regime dei Talebani, Mosca ha visto e vede nella NATO – quella stessa struttura politico-militare percepita come avversaria in Europa orientale – una coalizione che può contribuire fortemente a rendere più sicuri i suoi collegamenti in Asia centrale.

Nel 2002, più in Occidente che in Russia, si festeggia il nuovo Consiglio NATO-Russia (NRC) come struttura bilaterale: siamo all’incontro di Pratica di Mare. A Bruxelles la Russia dispone di un rappresentante presso la NATO, e la NATO apre un ufficio di collegamento militare e di informazione a Mosca.

L’obiettivo condiviso di base è combattere il terrorismo e impostare un programma comune di controllo e non proliferazione delle armi nucleari. Su questo punto, una ampia collaborazione è realistica e ampiamente realizzabile.

I vari organi subordinati al Consiglio NATO-Russia gestiscono importanti settori di cooperazione. Vengono compiute esercitazioni militari congiunte e navi russe partecipano nel Mediterraneo a un’operazione NATO per compiti di antiterrorismo (l’operazione Active Endeavour). La Russia partecipa inoltre al Partenariato per la Pace (PfP) e consente a Francia e Germania di usufruire di un corridoio per l’Afghanistan, che glie permette di evitare l’insicura via alternativa attraverso il Pakistan. Si sviluppano, infine, programmi di cooperazione nella lotta al traffico di droga.

Ma la Russia continua a considerare la NATO un elemento geopolitico piuttosto che un partner e considera negativamente l’allargamento NATO in Georgia e in Ucraina.

L’uso da parte degli Stati Uniti di strutture militari in Bulgaria e Romania irrita la Russia al punto da far parlare di nuovo di guerra fredda quando gli americani decidono di dispiegare lo scudo spaziale in Polonia e nella Repubblica Ceca.

Si aggravano i rapporti anche a causa del temporeggiamento della NATO nel sottoscrivere il nuovo trattato sulla riduzione delle forze convenzionali in Europa (CFE), e la sua riluttanza nello stabilire relazioni formali con l’organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO) guidato dalla Russia.

La Russia con la guerra in Georgia ha voluto mandare un forte messaggio alla NATO, e soprattutto alla leadership americana:

– con Mosca non si tratta solo quando è debole;

– il tavolo paritario NATO-Russia deve essere sempre tenuto in considerazione;

– non deve essere più considerata, riferendosi in particolare alla situazione europea, alla stregua degli anni ’90 (cioè come  una potenza ormai di secondo rango).

L’alleanza ha percepito gli interessi di Mosca e per questo è stata prudente nell’agosto del 2008, durante la guerra in Georgia, a spese, chiaramente, della politica occidentale. Forse si è compreso che, sotto la spinta degli americani, si era tenuto un atteggiamento eccessivamente tollerante verso la Georgia.

L’Europa, sostenuta dai nuovi Paesi annessi che volevano cogliere l’occasione per dare una lezione al “vecchio dominatore”, si stava  lasciando coinvolgere in un tentativo punitivo (sono note le pressioni affinché si adottassero sanzioni), subito bloccato da Francia ed Italia che hanno contrapposto alla condanna l’apertura di un dialogo positivo sulla vicenda georgiana (scelta giudicata lungimirante da molteplici osservatori).

Il nuovo corso, quindi, rilancia il vertice del 2002 di Pratica di Mare. Tutto ciò anche per merito della nuova presidenza Obama, e dei contributi di Francia e Italia nel fare da mediatori.

Ma quanto questo durerà? Le misure di compromesso su iniziativa dell’occidente, degli USA e dell’Europa sono state giocoforza, e al contempo è la cooperazione militare a reggere, più della cooperazione politica.

Quale potrà essere la spinta in gioco per un eventuale raffreddamento?

A questo riguardo è cruciale osservare l’assetto geopolitico delle risorse energetiche e la situazione economica  dell’area del Caucaso.

L’Europa deve ancora giocare una carta difficile: sempre più integrata nella NATO, si priverà di fatto di un’autonomia di politica di difesa e di sicurezza autonoma fino a quando non affronterà il problema dell’accesso alle risorse energetiche dell’area (che potrebbero interessare anche USA e Cina) e della diversificazione degli approvvigionamenti energetici.  La questione energetica, sicuramente, ha contribuito fortemente a determinare la recente criticità della situazione georgiana.

Sarà la diversificazione delle vie di distribuzione dell’energia, probabilmente, a generare nel prossimo futuro nuovi equilibri, in un senso o nell’altro, nei rapporti fra Europa e Russia e all’interno della NATO.

In Asia centrale, l’Unione Europea gioca una partita difficile: l’accesso alle risorse di petrolio e gas dell’area diversificherebbe le fonti di approvvigionamento energetico dell’Europa (si tenga presente che quasi un terzo delle importazioni di petrolio e quasi la metà del gas importato  in Europa provengono dalla Russia), tuttavia nella regione i rischi di stabilità politica sono forti.

Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan devono ancora compiere importanti passi sul percorso della democrazia e far fronte alle sfide del radicalismo islamico, del traffico di droga e della corruzione.

Uzbekistan e Turkmenistan, due delle dittature più repressive di tutto il pianeta, violano i diritti umani e sfruttano indiscriminatamente le proprie risorse naturali.

La zona è anche il crocevia geopolitico in cui si incontrano Cina, Russia e Stati Uniti. In mezzo a questo complesso campo di forze, l’UEO dovrebbe svolgere il ruolo di stabilizzatore. Sarà capace di avviare una stabilizzazione duratura in questi stati?

FONTI DI ENERGIA E VIE DI DISTRIBUZIONE

Soffermiamoci molto brevemente su questa questione di cruciale interesse per l’Europa.

Petrolio: lo si estrae prevalentemente in Kazakistan, seguono Turkmenistan e Uzbekistan.

Gas: lo si estrae prevalentemente in Turkmenistan, seguono Uzbekistan  Kazakistan.

Sono, invece, molto scarse le produzioni di petrolio e gas in Tagikistan e in Kirghizistan.

Rileva il fatto che quasi tutte le esportazioni di gas e petrolio sono sulle direttrici di Mosca, con una parte deviata verso l’Ucraina e l’Europa. Le direttrici seguono praticamente le “vecchie rotte sovietiche”, conferendo a  Mosca un grosso potere contrattuale con i paesi produttori. Rivendendo poi sul mercato europeo, la Russia realizza ingenti guadagni. L’interruzione del gas da queste aree mette in difficoltà sia la Russia sia l’Europa. Questi paesi sono alla ricerca di partner commerciali ed investitori in infrastrutture che gli permettano di ridurre la dipendenza dalla Russia.

L’Europa ha predisposto strumenti di intervento a favore delle comunità degli Stati indipendenti (TACIS) sia di assistenza tecnica che volti a promuoverne lo sviluppo: dove l’influenza russa è più forte, l’Unione Europea ha lanciato una politica di buon vicinato nei confronti dell’ Ucraina, della Moldavia, dell’ Azerbaigian, della Georgia e dell’Armenia.

Nel quadro del programma TACIS 2004-2006 nasce il progetto INOGATE, un programma di cooperazione internazionale che vuole integrare e migliorare la rete di oleodotti e gasdotti presenti nei Nuovi Stati Indipendenti (NIS) e rendere più efficace e sicuro il trasporto di queste risorse verso l’Europa,  bypassando la Russia.

Al programma hanno aderito 21 paesi: Albania, Bulgaria, Croazia, Grecia, Macedonia, Serbia-Montenegro, Bielorussia, Lettonia, Moldova, Romania, Ucraina, Slovacchia, Turchia, Armenia, Azerbaigian, Georgia, Tagikistan, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan.

Queste soluzioni, comunque, non sono in grado di svincolare l’Europa e gli Stati membri dalla Russia, ma  garantirebbero un certo grado di diversificazione nella distribuzione.

C’è da tener conto, d’altra parte, che le risorse energetiche di cui parliamo non sono ambite solo dall’Unione Europea, ma sono oggetto d’interesse anche da parte degli Stati Uniti e della Cina. Quest’ultima ha inaugurato insieme al Turkmenistan, a dicembre 2009, il gasdotto Sampede-Lunnan, che porta il gas turkmeno in Cina senza passare per la Russia.

Questo dovrebbe essere in grado di dare l’idea di quanti ostacoli, non solo fisici ma politici, devono essere superati, e soprattutto di quanti equilibri geopolitici sono in gioco e, per tornare al tema principale, quanta attenzione va serbata alla Russia, alla sua capacità di influenza e al suo ruolo.

Ciò che ci preme rilevare, infine, è che la leadership degli Stati Uniti nell’ambito NATO e nell’ambito delle relazioni con la Russia dovrebbe essere fortemente bilanciata da una Unione Europea forte sia in politica estera sia nel suo pilastro fondamentale di sicurezza e difesa, che, ricordiamo, è sempre più integrato nella NATO, secondo il principio di “forze separabili ma non separate”.

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