13 gennaio 2014
Il 19-20 dicembre si è riunito a Bruxelles il Consiglio Europeo. Il tema riguardante la difesa era il primo in agenda.
Dopo otto anni, durante i quali in sede di consiglio non è stata posta alcuna attenzione alla difesa, la collocazione prioritaria di tale tema nell’agenda di Bruxelles aveva legittimamente fatto sperare che dal Consiglio potesse uscire qualche decisione relativa alla realizzazione del più volte auspicato esercito europeo.
Purtroppo, tutte le proposte formulate per un progresso in tale direzione, sono state bloccate dal Primo ministro inglese Cameron il quale si è dichiarato assolutamente contrario alla realizzazione di un esercito europeo.
Al termine del Consiglio, dal rapporto finale, emergono tre punti considerati fondamentali: aumentare efficacia e visibilità della politica di sicurezza e difesa comune (PSDC), rafforzare l’industria di difesa comune, migliorare lo sviluppo delle capacità operative europee.
Per quanto ha tratto con il primo punto: visibilità ed efficacia della PSDC, va ricordato che nelle missioni internazionali l’unione europea è presente in 16 Paesi con 7.500 soldati.
Nel comunicato finale si auspica un miglior coordinamento per l’impiego delle Forze, una maggior flessibilità nell’impiego dei battle groups, la definizione di una cyber defence policy framework europea e quella di una strategia di sicurezza marittima per il 2014.
Per quanto ha tratto con l’industria della difesa, settore importante per l’economia europea che impiega un milione e mezzo di posti di lavoro con un volume d’affari di 96 miliardi di Euro, il rapporto prevede la costituzione di una base industriale e tecnologica della difesa europea (EDTIB); interventi per favorire l’occupazione e gli investimenti attraverso una politica di sviluppo del dual use; aumentare il sostegno alle piccole e medie imprese del settore; procedere ad una maggiore standardizzazione dei requisiti operativi dei sistemi d’arma e delle certificazioni, per favorire la costituzione di un vero mercato unico.
Sul terzo punto, quello dell’ incrementazione delle capacità di difesa europea, vero punto qualificante per uno sviluppo verso la costituzione di un esercito europeo, in sostanza non è stato fatto alcun passo avanti.
Cameron si è subito confermato contrario ad ogni ipotesi di esercito europeo, cioè di una capacità unitaria di difesa europea, mentre ancora una volta, si è dichiarato favorevole ad una cooperazione tra le forze dei vari partners.
Gli ha fatto eco il segretario generale della NATO Rasmussen, che ha affermato: “la difesa dell’Europa è garantita dalla NATO”.
La proposta di Italia, Francia, Germania, Polonia e Spagna per la costituzione di una flotta di velivoli non pilotati (UAV) gestita direttamente dall’Unione, è stata del pari bocciata dalla Gran Bretagna che ha accettato solo sollecitazioni per incrementare la collaborazione nei settori: UAV, cyber, rifornimento aerei in volo e comunicazioni.
Così, dopo ben otto anni di attesa, le speranze, peraltro riferite a modesti progressi nella integrazione di difesa europea, sono andate deluse.
Le ragioni sono da individuarsi:
- nel desiderio degli USA di continuare in ambito NATO la politica del “divide et impera”, favorita dal fatto che il colosso americano ha facile dialogo con i singoli, separati partners, tutti nettamente inferiori in termini di potenza. Di questo si fa portavoce il Segretario NATO e gli anglofoni Gran Bretagna e Canada. Diverso sarebbe il rapporto tra USA ed Unione Europea unita;
- l’egoismo dei singoli partners che finisce per favorire la chiusura USA;
- la mancanza di una vera e propria minaccia di tipo convenzionale contro l’Unione Europea.
A questo punto, due possono essere le alternative per un possibile futuro. L’avvio di un processo di unificazione di forze armate europee da parte dei Paesi che “ci vogliono stare” a prescindere dalle intenzioni inglesi, come peraltro accadde nel ’52 per la Comunità Europea di Difesa (CED), proposta da Belgio, Italia, Germania, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi, che firmarono a Parigi nel maggio del 1952 il trattato istitutivo della CED, quando già esisteva la NATO. Purtroppo il Trattato conseguente ad una mozione approvata dal Consiglio Europeo di Strasburgo, non ebbe realizzazione definitiva a causa di un ripensamento politico della Francia che ne era stata l’ispiratrice.
Oppure perpetuare l’attuale sistema che impedisce la integrazione della difesa europea con conseguenze negative per la realizzazione dell’unione politica dell’Europa e la definizione di una sua credibile politica estera e di sicurezza.
In conclusione, dopo Parigi la possibilità di dar vita ad un esercito europeo si allontana ulteriormente. Rimane la possibilità di realizzare qualche risultato positivo mediante strette collaborazioni in alcuni settori dell’industria o in sede di singole operazioni internazionali. In tal modo, i partners europei continueranno a disperdere ed a spendere male le già limitate risorse dedicate al settore difesa, a non dare consistenza ad una politica estera e di sicurezza dell’Unione europea. In sostanza a non contribuire, direttamente o indirettamente, alla realizzazione dell’unione politica.
In ambito NATO, i singoli partners europei continueranno ad essere assoggettati allo strapotere americano. Ben diverso sarebbe il rapporto se l’UE si presentasse e partecipasse con una struttura di difesa unitaria.
Gen. Luigi Ramponi