17 marzo 2014

 

Nella seduta del 10 marzo, durante la discussione per l’approvazione della nuova legge elettorale, la Camera dei Deputati ha bocciato con voto segreto tutti e tre gli emendamenti per la parità di genere.

Il primo emendamento stabiliva l’alternanza tra uomo e donna nelle liste, fatto che, considerato il sistema elettorale adottato, avrebbe consentito una pari presenza maschile e femminile.

Il secondo prevedeva la presenza del 50% delle donne quali capilista, mentre il terzo, frutto di successivi tentativi di mediazione proponeva il rapporto di 40% donne e 60% uomini, sempre nell’ambito dei capilista.

La bocciatura dei tre emendamenti ha suscitato, come era facilmente prevedibile, la disapprovazione della stragrande maggioranza delle donne già presenti in Parlamento e di quella parte degli uomini che ne vedevano favorevolmente l’approvazione.

Stando alle affermazioni fatte in occasione degli interventi che hanno preceduto la votazione, il voto segreto ha consentito ad un notevole numero di parlamentari un comportamento diverso da quanto pubblicamente dichiarato.

Ho sempre ritenuto opportuno che, nel rispetto della vera democrazia, il Parlamento che, ricordo, è l’organo legislativo che definisce le norme di vita della società, fosse costituito da una pari presenza di uomini e di donne. Coerentemente con questo modo di pensare, il 20 marzo del 2012 ho presentato in Senato un disegno di legge costituzionale che in due articoli prevedeva che i componenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica fossero ripartiti in egual numero tra uomini e donne. Parallelamente, l’applicazione di tale norma in sede di legge elettorale prevedeva un sistema maggioritario con la ripartizione in collegi elettorali nel cui ambito sarebbero stati eletti un candidato di sesso maschile ed uno femminile.

La tumultuosa conclusione della Legislatura non ne ha consentito nemmeno l’inizio della discussione in sede di Commissione. Le ragioni che stanno alla base del mio personale orientamento nascono dalle seguenti considerazioni.

Nell’ambito della società umana, il vero grande e principale elemento di differenza tra gli esseri umani è costituito dalla rispettiva appartenenza ad uno dei due generi, maschile e femminile. Obiettivamente fra i due generi le differenze sono numerose, assai evidenti e determinano l’esistenza di due componenti della società con caratteristiche assai diverse.

Il modo di pensare e di sentire della generalità degli uomini è assai diverso, sotto molti aspetti, da quello delle donne. Quest’ultime, ad esempio, parlano con una velocità doppia di quella degli uomini, in molti casi sono dotate di una intuizione e una sensibilità assolutamente superiori; sono costantemente desiderose di vivere in un ambiente di serenità e di pace, a differenza di quanto non accada tra gli uomini, dove l’aggressività è, nel complesso, assai superiore. Al di là di questi sintetici esempi, è ripetutamente provato in termini scientifici l’assoluta differenza del modo di essere degli uomini e delle donne. Preso atto di quanto sopra incontrovertibilmente delineato, dal momento che la democrazia prevede sia garantita, nella sede in cui vengono assunte le decisioni relative alla guida della società, la miglior possibile rappresentanza del demos, cioè del popolo, cioè della società, appare indispensabile una eguale presenza di uomini e donne nel Parlamento.

Infatti, la Costituzione dichiara che la Repubblica Italiana è una Repubblica Parlamentare, nel Parlamento vengono approvate le leggi che costituiscono le linee guida della vita della società, è conseguentemente necessario che in Parlamento si realizzi il dettato della democrazia. In tutti gli altri organi, compreso il Governo, deve essere esclusivamente la professionalità e la capacità del singolo a determinare la scelta per l’affidamento di determinati incarichi ed in questo caso non è affatto necessaria una presenza equilibrata di uomini e di donne.

Appare allora chiaro come siano ridicoli i tentativi di imporre un pari numero di uomini e donne ad esempio nei Consigli d’Amministrazione o addirittura fra i Ministri del Governo o quella proposta inserita nel terzo emendamento discusso lo scorso 10 marzo che prevedeva una ripartizione del 40/60% tra donne e uomini, frutto di un compromesso privo di ogni senso logico.

Se si volesse estendere, come sinora si è cercato di fare, una parità nei vari organi di comando, si dovrebbe arrivare alla ridicola norma di prevedere l’alternanza tra uomo e donna alla Presidenza della Repubblica, oppure una eguale distribuzione tra uomini e donne nell’ambito degli insegnanti.

In una Repubblica Parlamentare l’unico vero organo di rappresentanza democratica centrale è il Parlamento e in questo la parità di genere va assicurata.

Lo stesso principio deve valere per gli organi legislativi a livello regione, provincia e comune. Per tutto il resto deve essere la capacità individuale, naturalmente basata sul principio della pari opportunità, a determinare l’assegnazione degli incarichi.

Gen. Luigi Ramponi

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