9 dicembre 2014

 

Sono nato in Italia, sono cresciuto prima a Gondar nell’Impero e poi in Eritrea, sotto gli Inglesi. Sono ritornato in Patria a diciott’anni. Sbarcato a Genova nel 1948, impiegai trentasei ore per giungere in treno in provincia di Bologna. L’Italia era prostrata. Distruzioni e fame dovunque. Difficoltà e sacrifici, veri, dovunque, (altro che quelli di oggi!) Ma, tutto questo, nascondeva una grande, formidabile volontà di riscossa che albergava nella mente e nel cuore degli Italiani. Una forza poderosa che esplose riscattando le conseguenze della guerra e della sconfitta e originò il “miracolo italiano. Ma di che cosa era fatta questa forza poderosa? Era fatta dei valori e dei principi della nostra civiltà, sintesi della combinazione tra quella romana e quella rinascimentale. I valori ed i principi erano interpretati con grande onestà e rettitudine. Si sapeva che il guadagno doveva essere frutto del lavoro, che a scuola si doveva studiare, (guai prendere un quattro), che le leggi dovevano essere obbedite, vi era rispetto per l’autorità e, quest’ultima aveva il senso della responsabilità, la famiglia era sacra, i genitori amati e ascoltati, così come gli anziani. A questi valori e principi il povero (allora) popolo italiano aggiungeva una delle più forti doti che hanno sempre accompagnato la sua storia: l’arte di arrangiarsi. Cosi grazie alla grande solidità etica e morale ed alla capacità di “cavarsela” nelle situazioni difficili, questo popolo, in un paese distrutto da una guerra persa con grande sofferenza e gravissime conseguenze, seppe, nel giro di appena qualche anno stupire il mondo, realizzando un miracolo: “Il miracolo italiano” e rigenerare un intero paese, restituendolo all’antico splendore e al meritato prestigio. Nei primi anni sessanta, la lira era talmente apprezzata che, ricordo, andavo a Parigi con mia moglie e pagavo taxi ed albergo con le lire italiane, perché il bilancio dello Stato era in parità. Non era necessario il cambio! Grazie a quella forza etica e morale, avevamo raggiunto il benessere! Rimaneva una frangia pari al 5/7 % di persone in difficoltà o per sfortuna o per poca voglia di lavorare. In tutti i popoli, tale percentuale è endemica.

Fu allora che, dopo il famoso sessant’otto, quelle virtù, grazie alle quali ci eravamo riscattati, cominciarono a venir meno a causa della lunga azione disgregatrice del partito comunista che già da tempo attaccava tutte le istituzioni cardine dello Stato: (la scuola, le forze armate, le forze dell’ordine, gli imprenditori, non la magistratura), l’Alleanza Atlantica, la Chiesa, (come non ricordare la scomunica?), in un continuo tentativo di sovvertimento, una volta pensato anche violento. A tale azione disgregatrice non si seppe o non volle opporsi la Democrazia Cristiana, la quale, al Governo dal 1948, dopo essere stata l’artefice e l’ispiratrice della riscossa (De Gasperi ne era stato il rigoroso e coraggioso profeta), dietro l’usbergo delle “ragioni politiche”, abbandonò, piano piano, la via della rettitudine, per cercare, in ogni modo di approfittare della situazione di benessere raggiunto. Quella dote di sapersi arrangiare, che era stata cosi preziosa per la ripresa, servì allora agli Italiani per trovare mille modi per aggirare le leggi, studiare poco (Chi non ricorda il 6 politico, il 18 politico?), evadere le tasse, lavorare in nero, prosperare a milioni nel sottobosco politico ecc. A questo si è aggiunta l’esplosione delle spese sociali e la destrutturazione dello Stato con la moltiplicazione e allargamento delle dimensioni delle strutture periferiche: Regioni, Province, ecc., che hanno aumentato spaventosamente i costi e hanno allargato l’area delle ruberie e della corruzione. Per ovviare al conseguente  aumento di spesa, si è allegramente accettato che i bilanci annuali prevedessero addirittura deficit a due cifre! Così è cresciuto spaventosamente il debito, l’evasione, il lavoro nero, la corruzione. Mentre si affermava, contemporaneamente, senza chiedersi come fosse possibile, da una parte che “non si arrivava alla fine del mese” e, dall’altra che “consumavamo più di quanto avremmo potuto”.  Nonostante l’ingresso nell’Euro che, per fortuna, ci costrinse a ridurre il deficit che era salito a due cifre, non sapemmo approfittare dell’occasione per rimetterci su un percorso virtuoso. Continuammo, invece, a spendere, spandere, rubare allo Stato, corrompere, non rispettare le leggi, a vivere in una democrazia del deficit, sino a quando è scoppiata la crisi. Oggi l’Italia è prostrata ma, purtroppo i suoi cittadini non possiedono più la forza etica e morale che avemmo nel 48.

Per risolvere la crisi attuale, non servono o non bastano iniziative legislative. Si devono innanzi tutto recuperare lo spirito del 48, il rispetto delle leggi e delle regole, la rettitudine nella gestione della cosa pubblica, la serietà e modernità nella preparazione delle nuove generazioni.

Un popolo privo di queste virtù di base non sarà mai un popolo forte, capace di costruirsi un futuro sicuro. Un popolo dedito all’illegalità, non avrà mai una legge etica in cui credere. Sarà un popolo senza fiducia nell’avvenire proprio come è oggi purtroppo il popolo italiano. Ecco la fiducia. Lo scoppio della crisi nel 2011, è stata determinata dai traditori del centro destra, dalle subdole manovre presidenziali in combutta con astute pretese di alcuni partners europei e dalla speculazione del blocco finanziario europeo e mondiale.

La parola spread ha fatto il resto, spaventando gli italiani i quali, peraltro, non avevano visto aumentare i prezzi, né diminuire i salari, ma impauriti e senza più una solidità morale, persero la fiducia nel futuro e diminuirono i consumi e la domanda.

Così è nata la crisi: meno domanda, meno ordinazioni, meno produzioni per le imprese, licenziamenti, disoccupazione dal 7 al 13%.

Per ridare fiducia agli italiani, per un nuovo miracolo non servono leggi più o meno speciali. Serve uno scatto di orgoglio che ci faccia recuperare la serietà che nel 48 ci fece uscire da ben altra crisi, grazie alla rettitudine, al rispetto delle leggi, al senso dello Stato e della società. Allora a quel punto riacquisteremo la fiducia. Di questi principi, che sono nel bagaglio naturale della destra, oggi si parla pochissimo.

Tutti, in famiglia, nella scuola, nelle istituzioni, nelle fabbriche, nella politica, tutti in Italia, dobbiamo capire e dimostrare con i nostri comportamenti che, senza un riscatto morale, non si esce dalla crisi, tutti dobbiamo credere e volere un ritorno alla fiducia nel futuro.

Evitando gli errori del post 68, l’Italia potrà ritornare rispettata ed apprezzata nel mondo   come seppe fare dopo la guerra, risollevandosi da una crisi materiale ben peggiore, forte però di una solidità etica e morale formidabile.

Gen. Luigi Ramponi

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