22 dicembre 2014
In un mio precedente intervento che commentava, con scetticismo, il meeting annuale di Cernobbio e la sua validità, nel concludere, ho promesso di parlare delle possibilità di sviluppo e ripresa dell’economia nazionale, in un secondo intervento, Lo faccio ora.
Nel 2011, allo scoppiare della crisi, non erano né aumentati i prezzi, né ridotti i salari, ma gli italiani, spaventati dal mostro SPREAD, di cui molti non conoscevano nemmeno il vero significato, ma che comunque faceva paura e, soprattutto prometteva disastri in prospettiva, ridussero gli acquisti (cancellando il superfluo), e risparmiando un po’ di più, in vista dei “disastri futuri”.
Le conseguenze furono subito assai gravi: i negozi vendettero di meno, conseguentemente ordinarono di meno, le fabbriche ebbero meno ordinazioni e poterono produrre e vendere di meno, la capacità produttiva e quindi il personale impiegato risultarono in eccesso e determinarono licenziamenti e disoccupazione. In sostanza era diminuita la DOMANDA che costituisce da sempre l’elemento innescante la vendita e il processo economico.
Attenzione, era diminuita la domanda interna, che rappresenta l’80% dei consumi, non quella esterna (20%) che è invece rimasta su alti valori, al punto che le esportazioni sono costantemente aumentate, salvo, purtroppo negli ultimissimi tempi, confermando la buona capacità competitiva delle nostre aziende e il fatto che la crisi non è determinata da fattori di crisi esterna.
E’ diminuita la domanda interna, non per ragioni economiche, ma per ragioni psicologiche: (paura dello spread), che, come ho detto prima ha indotto gli italiani a consumare meno, togliendosi però, il superfluo e, addirittura, in un periodo di crisi, facendo aumentare il risparmio privato, di ben 40 miliardi di euro.
La paura dello spread è passata, grazie ad una politica di austerità e, soprattutto all’intervento della BCE che con Draghi ha deciso l’acquisto di bond italiani, mantenendo in tal modo bassi gli interessi e limitato lo spread rispetto a quelli tedeschi; cosa che non volle fare quel ………….. dell’allora governatore Trichet, il quale era d’accordo con chi voleva mettere l’Italia in ginocchio e determinare lo spread e la crisi.
Passata la paura, (lo spread è sceso a valori accettabili e non si agita più come spauracchio) come mai gli italiani non hanno ricominciato a spendere, facendo ritornare in crescita la domanda e conseguentemente avviare la ripresa? Il mancato riaumento degli acquisti, e quindi della domanda è dovuto al fatto che gli italiani hanno, nel frattempo, adottato un sistema di vita diverso che ha in buona parte, abolito il superfluo e gli sprechi che caratterizzavano l’atteggiamento precedente e speso con più equilibrio.
Tenuto conto dell’attuale situazione economica dello Stato Italiano, realtà che non dobbiamo mai dimenticare,come avviare la ripresa, cioè come far crescere la domanda? Il discorso è molto difficile e lo dimostra il fallimento dell’elargizione dei famosi 80 euro che non ha portato ad alcun aumento della domanda stessa, perché i beneficiari hanno preferito metterli da parte, avendo ridotto in precedenza gli acquisti, eliminando il superfluo.
L’economia italiana e la relativa domanda erano impostate, all’epoca della crisi, su una ipotesi finanziaria sbagliata che prevedeva: consumi in eccesso, (quante volte abbiamo sentito i ministeri interessati, lanciare campagne per ridurre gli sprechi e l’enorme quantità di rifiuti?), evasione fiscale altissima, lavoro nero, illegalità diffusa, corruzione ecc. ( che portano una riduzione delle entrate dello Stato a valori assai più alti di quelli riscontrati nei paesi europei omologhi).
Tale comportamento dissennato, soprattutto prima della nostra entrata nell’euro, ha portato a deficit di due cifre e ad un debito pari al 130% del PIL. Il deficit, grazie agli impegni sottoscritti a Mastricht e, con una notevole fatica è sceso di molto, ma il debito è rimasto e con la grande spesa per interessi che comporta, costituisce una palla al piede del Governo ed un impedimento ad interventi incisivi, sul piano economico, da parte sua.
Viste le precedenti considerazioni, quali soluzioni proporre per una ripresa dell’economia nazionale?
Non certo abbassando le tasse, come suggerito dagli esperti e promesso da secoli dai governi(ammesso che ciò si possa fare in concreto senza fare il gioco delle tre carte, togliendo da una parte e aumentando dall’altra), perché questo diminuirebbe le entrate dello Stato con conseguente aumento del deficit e del debito. Inoltre un abbassamento delle tasse riguarderebbe , per avere un certo valore, le tasse alte ed offrirebbe maggiori risorse a coloro che già ne possiedono a sufficienza, Costoro non le impiegherebbero né per aumentare gli acquisti, né in ricerca o aumenti di produzione, dal momento che se non c’è aumento della domanda, la produzione non ha sbocco. Inoltre la diminuzione delle tasse, non favorirebbe coloro che potrebbero, veramente, far aumentare la domanda, cioè coloro che oggi hanno scarse possibilità finanziarie, perche le loro tasse sono, già oggi, assai basse o nulle. Diminuzione di tasse alla produzione, certo è benvenuta, ma non fa aumentare la domanda, può solo aumentare la competitività all’estero, dove però le cose vanno già bene.
Un aumento, come pure proposto, dei salari su base diffusa? Questo potrebbe certamente far aumentare la domanda e mettere in moto la ripresa ma, sempre considerando la situazione economica attuale, ciò non è obiettivamente fattibile. Non è fattibile per lo Stato, il quale vedrebbe aumentato il proprio fabbisogno, con il rischio reale di aumentare deficit, debito e interessi da pagare. Non è fattibile nel privato, già oggi alle prese con costi del personale assai elevati.
L’avvio di un ampio programma di opere pubbliche da parte del Governo, come all’epoca del New Deal di Roosevelt? Per il Governo Italiano questo non è assolutamente, possibile. Già in grave difficoltà per rispettare gli impegni contratti in Europa e in affanno per mantenere il deficit entro l’1,8%, dove troverebbe le risorse per un ampio programma di lavori pubblici, tale da mettere in moto l’economia, povero Padoan?
Immissione di forti capitali da parte privata, per potenziare la ricerca, migliorare la produzione e renderla più competitiva. Ottime iniziative che possono, effettivamente migliorare la competitività e vendere di più in ambito internazionale, (20%) ma sul piano interno, (80%) se non cresce la domanda non aumenta la vendita.
Anche un allentamento dei vincoli di austerità, auspicati dal governo al fine di poter disporre di risorse (si badi bene: a debito) aumentando deficit e debito e, quindi ritornando spendere in eccesso come un tempo, non appare una soluzione di grande momento e foriera di successo.
A questo proposito non si può fare a meno di stigmatizzare la ridicolaggine del “ Piano Casa Italia”. Accade, purtroppo, l’ennesimo terremoto, Che fa il governo per dimostrare la sua capacità operativa? Immediatamente getta le basi (che tali resteranno), di un piano di rafforzamento delle strutture edili presenti in tutte le zone a rischio sismico nazionali. La pianta delle zone a rischio è nota da molto tempo. Un partito serio, include nel suo programma interventi in proposito e, quando assume il potere, mette in pratica il programma. Non aspetta che venga un terremoto! Se fossero accaduti straripamenti e allagamenti, avrebbe subito propagandato un “Piano di sistemazione idrogeologica!”. Molto triste.
Quali interventi, quali iniziative assumere allora per favorire seriamente la ripresa e lo sviluppo?
I principali fattori negativi che determinano la triste situazione economica nazionale, in aggiunta al pesantissimo debito che non è pensabile, per ora, poter ridurre, sono costituiti: dalla enorme evasione (certamente superiore a quella degli stati omologhi), che riduce fortemente le entrate e, quindi, le disponibilità finanziarie dello Stato; dal lavoro nero, che fa perdere allo Stato i relativi contributi e penalizza i lavoratori con salari miseri che abbassano la loro capacità d’acquisto; dalla corruzione che rende onerosa l’acquisizione di quanto spetta di diritto e sviluppa l’imbroglio e la malversazione; dalla illegalità diffusa, unita al pessimo funzionamento della giustizia, elementi che inquinano ogni tipo di attività, rendono rischioso e mal tutelato l’impiego di capitali e inesistente il rispetto delle regole; una troppo elevata differenza tra i salari degli operai e degli impiegati e i compensi della dirigenza, tale da ridurre la capacità d’acquisto della massa dei cittadini. Questi, uniti ad altri minori sono i veri mali che stanno a monte della cattiva situazione economica. Solo eliminando o riducendo questi elementi negativi, si può sperare in una reale ripresa dell’economia nazionale.
L’evasione fiscale: Varie fonti di ricerca le attribuiscono un valore che oscilla tra i 150 e i 200 miliardi di euro, all’anno! Una cifra impressionante che ci pone al primo posto in Europa! La stima è credibile e rimane più o meno costante nel tempo, in termini reali, giacché corrisponde a quanto appurato da una ricerca che feci svolgere quando comandavo la Guardia di Finanza. E’ una piaga endemica che nasce da una cultura, da un modo di pensare sbagliato ma fortemente radicato in un’ampia fascia di italiani. Non soffro di esterofilia, ma in tutte le società dei principali paesi occidentali, vi è una diversa mentalità e si giudica ladro e traditore del patto sociale chi evade le imposte, mentre da noi, una alta percentuale di cittadini ritiene un furbo chi evade.
Il punto fondamentale sta nel fatto che una gran parte dei cittadini italiani non si sente parte integrata nella società e non ritiene che i soldi dati alla comunità servano anche per se stessi. Meglio tenerli subito, se possibile, anziché metterli nel tesoro comune. Si verifica in tal modo un vero e proprio conflitto di interessi la cui origine risale all’epoca delle gabelle imposte da autorità non democratiche, che oggi non ha più ragion d’essere. Tale conflitto d’interessi, tra lo Stato e il singolo cittadino, vede il primo penalizzato dal fatto che è per lui molto difficile conoscere attività e redditi reali di ciascuno, per cui non è difficile per il singolo occultare. Bisogna riuscire ad equilibrare le forze delle due parti in conflitto. In che modo?
Per risolvere il problema soccorre un’interessante constatazione: L’evasione nei confronti delle imposte locali dirette, è molto inferiore, rispetto a quella sulle imposte nazionali. All’epoca del proclamato “federalismo fiscale”, dissi, inascoltato, che quella era la strada, se correttamente percorsa, per ridurre di molto l’evasione fiscale. Confermo: quella è la soluzione da adottare. Infatti, se il percepimento delle tasse fosse effettuato a livello comunale o, nel caso di grossi centri, a livello municipale e, presso di ognuno venisse affisso l’elenco dei contributi versati dai singoli cittadini, accadrebbe che:
- Nei locali del Comune sarebbe affisso il versamento effettuato da ciascuno, in modo che chiunque avrebbe la facoltà di controllarne la correttezza;
- Per l’evasore sarebbe assai più difficile nascondere le entrate al comune e ai concittadini che ben conoscono le sue attività e il suo tenore di vita;
- Il Comune, avendo un interesse diretto, può svolgere un’azione di controllo efficace, come, peraltro accade con le imposte comunali;
- Lo stesso vale per ciascun cittadino che ha, in tal modo la facoltà di difendere i propri interessi, e contribuire, come accade nei paesi nordici d’Europa, al contrasto all’evasione.
- Il cittadino eserciterebbe un attento controllo alla emanazione dello scontrino o della fattura, imponendone l’emissione e impedendo in tal modo l’evasione da parte del venditore o del prestatore d’opera.
Si creerebbe, finalmente, una mentalità diffusa, presso la società, che, finalmente, per proprio interesse, riterrebbe dovere di ciascuno, pagare “il giusto tributo” alla comunità e quindi il conflitto di interessi si verificherebbe tra il singolo e i concittadini che si vedrebbero depauperati, con l’evasione, di risorse spettanti alla comunità di cui fanno tutti parte. In tal modo, le parti in conflitto sarebbero mosse, ciascuna, da un interesse diretto e l’evasore non sarebbe più considerato un furbo, ma un ladro, traditore del patto solidale con la propria comunità.
Naturalmente dovranno essere definite alcune procedure e modalità, quali ad esempio:
- I versamenti delle trattenute alla fonte degli impiegati statali dovrebbero andare direttamente allo Stato;
- Si dovrà definire quanto potrà essere trattenuto dai Comuni e quanto versato allo Stato;
- Gli uffici delle imposte e la Guardia di Finanza e, gli stessi Carabinieri, questi ultimi anche solo quali accompagnatori dei controllori, diventeranno enti di collaborazione dei comuni, soprattutto per il controllo delle imprese complesse e di elevata dimensione.
- I gestori della cosa pubblica a tutti i livelli, avranno molto meno spazio per concordare malversazioni e corruzione;
- e molte altre di dettaglio.
Questa, ritengo sia la strada da percorrere per sradicare quella nefasta mentalità che ancor oggi caratterizza la nostra società. Se l’evasione tutta, si allineasse ai valori che oggi ha quella nei confronti delle tasse comunali, nel giro di pochi anni, cancelleremmo addirittura il debito, lo Stato potrebbe da una parte, ridurre davvero la pressione fiscale e dall’altra avviare sul serio un programma di grandi opere a partire dalla sistemazione antisismica e idrogeologica. Allora, grazie alla nostra genialità, accompagnata alla rettitudine, diventeremmo davvero il primo paese del mondo!
Per quanto ha tratto con il lavoro nero, la mentalità acquisita da cittadini, grazie dall’attuazione dei procedimenti prima indicati, lascerà molto meno spazio a tale forma di reato, sia per il controllo diretto del Comune, sia perché i cittadini, sensibilizzati sulla difesa dei propri diritti, avrebbero più forza nel pretendere giusti trattamenti. Anche qui, la chiave per riuscire a far cambiare mentalità ai cittadini italiani, sta nel far capire loro che chi viola le norme di legge, procura un danno economico a loro stessi. Toccare la tasca di ciascuno, vuol dire ottenere une reazione immediata.
Lo stesso va nei confronti della corruzione e della illegalità diffusa. Il cittadino dal momento che avrà acquisito la volontà e la forza di pretendere il giusto pagamento dei tributi, avrà anche la forza di pretendere, da parte dei gestori della cosa pubblica, il rispetto dei propri diritti, senza bisogno di “pagamenti extra” e il rispetto delle leggi, da parte di tutti.
Quest’ autentica rivoluzione di carattere etico/culturale costituisce l’unica strada per portare l’Italia ad livello simile a quello dei partners con i quali usa confrontarsi. E’ veramente clamoroso e inaccettabile mantenere una situazione nella quale si tolgono allo Stato 150/200 miliardi di entrate ogni anno e nel contempo ricercare disperatamene da parte del Governo, ogni anno, in finanziaria qualche miliardo, nella speranza di reperire risorse per favorire la crescita, sempre con risultati assai modesti.
L’evasione, la corruzione, l’illegalità sono tutte figlie della stessa mentalità disonesta che permea di se la nostra società. Se non la si cambia, le capriole del Governo, di qualsiasi Governo, di centro, di destra, di sinistra, continueranno ad essere inutili e puerili, nel loro promettere, ogni anno la ripresa negli anni futuri, poi regolarmente smentita, come sta capitando da qualche tempo.
Per dare vita al sistema da me suggerito sarà necessario procedere per gradi, sia per la complessità del progetto, sia per consentire progressivamente ai Comuni, di essere in condizioni di operare efficacemente, sia per non determinare sconquassi e danni irreparabili al sistema economico, una grossa parte del quale basa la propria esistenza sull’evasione e il lavoro nero. Tale progressività è realizzabile, nel giro di qualche anno, basta sia sorretta da una forte volontà politica.
La strada del riscatto esiste. Sta solo a noi Italiani, liberarci da questi “peccati originali” e vivere meglio e in modo più civile. Se non lo faremo, continueremo a dibatterci fra chiacchere e porcherie. Il che non è né bello, né dignitoso, né intelligente.
Gen. Luigi Ramponi