21 gennaio 2015

 

L’Italia ha informato il Governo Indiano che, “stante la formale instaurazione di una controversia internazionale tra i due Stati, i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non faranno rientro in India alla scadenza del permesso loro concesso”.

Cosi recitava un comunicato del Ministro degli Esteri Giulio Terzi che indicava come i due fanti di marina, al momento presenti in Italia, grazie ad un permesso accordato dal Governo indiano, in occasione delle votazioni politiche nazionali, sarebbero rimasti in Italia allo scadere della durata della permanenza loro concessa.

E’ legittimo chiedersi se l’azione del Governo Italiano che in sostanza non rispetta l’impegno per il rientro, assunto dall’ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini, all’atto della concessione della autorizzazione al ritorno temporaneo in patria per partecipare al voto, da parte delle autorità indiane, sia coerente con il comportamento sin qui tenuto e sia corretta.

Per dare una risposta valida e quanto più possibile circostanziata, è necessario esaminare lo sviluppo degli avvenimenti ed i comportamenti delle due parti in causa, sin dall’inizio del fatto.

Più di un anno fa, la nave sulla quale prestavano servizio di sicurezza contro pirateria i due fanti di marina, in navigazione nell’oceano indiano, in mare aperto, non in acque territoriali indiane, veniva avvicinata da un peschereccio in rotta di collisione. I due militari, responsabili della protezione e della difesa della nave italiana, procedevano, prima con segnalazioni acustiche e, successivamente, con azioni di fuoco di avvertimento davanti e dietro il natante che continuava ad avvicinarsi (questo è quanto è sempre apparso dalle loro dichiarazioni) i piloti dello stesso ad allontanarsi. Allontanata la presunta minaccia, lo stesso capitano della nave italiana, avvertiva l’autorità portuale indiana dell’area, dell’accaduto, e continuava la navigazione.

Qualche ora dopo, un comunicato da parte indiana, dichiarava che i pirati (sic!) erano stati catturati e, nel contempo, veniva richiesto alla nave italiana di entrare in un porto indiano sulla costa della regione indiana del Kerala per offrire collaborazione e testimonianza.

Il capitano della nave, in assoluta buona fede, dopo aver informato l’autorità nazionale della richiesta ed ottenuto il relativo consenso, invertiva la rotta ed entrava nel porto indiano.

Da quel momento, l’atteggiamento dei responsabili indiani: politici, magistrati, forze di polizia, sono completamente mutati e i due fanti di marina sono stati costretti a sbarcare, è stata tolta loro la libertà e sono stati incriminati dell’ omicidio di due componenti l’equipaggio del peschereccio, effettivamente purtroppo deceduti. Il richiamo della nave e il conseguente fermo dei due soldati italiani, è avvenuto a seguito di richieste e dichiarazioni false e ingannevoli da parte indiana. Quest’ultima non può certo accampare diritti di rispetto della parola data.

A nulla sono valse le iniziative diplomatiche del Governo Italiano, che, a buon diritto, e nel rispetto della legislazione internazionale vigente, richiedeva reiteratamente, il rispetto della legge e il conseguente rilascio dei due italiani, i quali potevano e possono essere giudicati circa le loro responsabilità, solo ed esclusivamente da un tribunale internazionale, essendo l’episodio accaduto in mare aperto, come previsto dalla Convenzione internazionale sul diritto del mare, dell’ONU.

Le Autorità indiane hanno sempre ignorato le giuste richieste italiane e con arroganza hanno continuato a dichiarare che i due italiani avrebbero dovuto essere giudicati da un tribunale indiano, secondo la legge indiana. Il contenzioso si è trascinato, passando, nel frattempo, dalle autorità regionali del Kerala a quelle nazionali, alla decisione indiana di costituire un tribunale ad hoc, ma sempre indiano.

L’Italia ha continuato ad insistere facendo costantemente riferimento alla convenzione ONU e, visto l’atteggiamento negativo degli indiani, il nostro Governo ha fatto appello alle Istituzioni internazionali: UE e ONU. Purtroppo le loro risposte sono state evanescenti e prive di decisione.

A quel punto il vaso della pazienza e della correttezza italiane era colmo e bene ha fatto il nostro Governo ad assumere una decisione in linea con il comportamento disdicevole e irrispettoso di quello indiano.

L’Italia chiede l’applicazione della Convenzione internazionale sul diritto del mare, che prevede una consultazione tra i due governi e il ricorso al diritto arbitrale, essendo certissimamente dimostrato che l’episodio non è accaduto nelle acque territoriali indiane, ma in mare aperto, come sono state costrette a riconoscere dopo diversi rifiuti, anche le autorità indiane. L’Italia, dal punto di vista del diritto, non fa che richiedere il rispetto di quanto concordato in sede internazionale. Nella speranza di un ravvedimento dell’atteggiamento indiano, ha anche rispettato l’impegno, in occasione della prima venuta in patria dei due fanti di marina italiani, assicurando il loro ritorno in India.

Anche questo atteggiamento di ulteriore estrema correttezza non ha sortito alcun effetto.

Allora, nella speranza che un atteggiamento più duro, possa riportare il contenzioso nell’ambito del rispetto delle norme e delle parti, è stata assunta una decisione, a mio parere giusta.

Concordo con l’affermazione del nostro ministro degli esteri che dichiara: “ abbiamo molti motivi giuridicamente solidi per procedere nella direzione intrapresa: l’arbitrato internazionale”.

Se il Governo indiano è alla ricerca della verità, della giustizia e del rispetto delle regole accettate in sede internazionale, sotto l’egida ONU, batta un colpo. Se, a questo punto non lo farà, non resta che augurarsi che le Nazioni Unite assumano un atteggiamento più responsabile e s’impegnino, affinchè,  la loro convenzione sia rispettata.

Questo era l’articolo che avevo scritto, a seguito della decisione del nostro Governo di impedire il rientro in India dei due sottufficiali di Marina,

Improvvisamente, a poche ore dalla scadenza del permesso, il Governo, con una disinvoltura degna di miglior causa, ha comunicato di aver cambiato parere e di aver ordinato ai due fanti di marina di rientrare in India, ribaltando completamente la decisione presa e dichiarata pochi giorni prima. Figura pessima da repubblica delle banane, che getta profondo discredito sull’Italia in sede internazionale.

Ad un imbarazzato sottosegretario De Mistura è stato affidato il compito ingrato di giustificare il “dietrofront”, adducendo come motivo, il fatto di aver ricevuto una garanzia scritta da parte indiana che, nei confronti dei due italiani, non sarebbe stata comunque, una volta ritenuti colpevoli, comminata la condanna alla pena di morte, peraltro prevista dai codici indiani.

Ma che c’entra? Peggio il tacon del buso! Direbbero a Trieste. Le ragioni sbandierate al momento della dichiarazione del mancato rientro, non si riferivano per nulla al mancato ottenimento di tale garanzia, Erano ben altre, come ho già indicato prima e non sto qui a ripetere. Personalmente rimango del parere espresso nella prima parte di quest’ articolo. Se poi il nostro Governo ha assunto la decisione del non rientro, alla carlona, senza valutare le ragioni di vario carattere: economico, politico, diplomatico e di prestigio internazionale, che ne sarebbero potute derivare, allora vi è proprio da rimanere esterrefatti e chiedersi: ma in che mani siamo? A “pazziella in man’a criatura” direbbero a Napoli!

Mi dispiace molto, ma, francamente debbo riconoscere che conclusione peggiore del suo mandato, il Governo dei “ professori “ non avrebbe potuto avere. Signore pietà!

Sen. Luigi Ramponi

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