12 marzo 2015
Verso la metà del mese di marzo, è iniziata l’operazione “Quantitative Easing” decisa dalla BCE. L’operazione finanziaria consiste nell’acquisto, da parte della stessa Banca Centrale Europea di titoli di Stato e privati per un ammontare complessivo di 60 miliardi al mese per ben 19 mesi, raggiungendo un totale di 1.140 miliardi di euro.
L’operazione è stata accompagnata da grandi manifestazioni di approvazione da parte dei responsabili finanziari e degli organi di informazione i quali, all’unisono ritengono che il fatto possa incidere positivamente nei confronti della ripresa in ambito Europeo.
Con questa misura, in buona sostanza, la BCE immette liquidità nel sistema, proponendosi in tal modo di sostenere l’Economia e svilupparne il rilancio.
A questo punto è spontaneo formulare le seguenti considerazioni. Al momento della crisi nazionale, avvenuta nella seconda metà del 2011, l’auspicio del Presidente del Consiglio Berlusconi e del Ministro Tremonti, per sostenere la difficile situazione, determinata dalla speculazione condotta nei confronti dei titoli di Stato italiani che raggiungevano tassi di interesse pari al 7-8%, era quello di un intervento da parte della BCE esattamente analogo a quello iniziato quest’anno, lo scorso marzo.
La richiesta del Governo Italiano, auspicava un intervento di tipo analogo a quello già effettuato due anni prima, nel 2009, da parte della Banca d’Inghilterra e della Federal Reserve americana, proprio per contrastare la crisi con l’immissione di denaro (Quantitative Easing) nei circuiti finanziari dei due Paesi. Allora la risposta alle richieste del Presidente del Consiglio italiano e del suo Ministro all’Economia, fu che: non essendo la BCE Banca Nazionale, come lo erano invece quella inglese e quella americana, non poteva immettere denaro nei circuiti finanziari europei. Come ha potuto allora farlo quattro anni dopo, senza che sia cambiata alcuna delle regole che definiscono il comportamento e l’azione della Banca stessa?
Come mai sono occorsi ben tre anni ai responsabili della Finanza europea per trovare il modo di intervenire sul piano finanziario in maniera così semplici e a detta di tutti, rispettosa delle regole della BCE?
Oggi, l’intervento attuale, tende a realizzare l’abbassamento del tasso di interesse dei titoli di Stato emessi dalle Nazioni (specie quelle in pesante situazione debitoria), riducendo ulteriormente lo Spread cioè la differenza in particolare tra gli interessi dei Bot italiani e quelli tedeschi.
Se nel 2011 la BCE fosse intervenuta nello stesso modo in cui interviene oggi, e quanto sta accadendo dimostra che avrebbe potuto farlo, sarebbe stato evitato “il dramma dello Spread” e la crisi indotta del Governo italiano. Evidentemente le ragioni non possono che essere: da una parte la voluta o endemica mancanza di volontà da parte di Monsieur Jean-Claude Trichet, allora Direttore della BCE, di acquistare, come si fa oggi, i BOT italiani. Questo avrebbe determinato l’abbassamento dei tassi, la sconfitta della speculazione e la fine dello spauracchio Spread. Ma allora la BCE rimase immobile. Dall’altra parte, un altro motivo può solo essere di carattere politico, determinato dalla subdola volontà di mettere in crisi il Governo Berlusconi, architettato dall’ex Presidente della Repubblica e dai suoi sodali , per creare la crisi e passare la mano al Prof. Monti (dopo averlo nominato Senatore), e al suo Governo dei “Professori”. Sappiamo con quali brillanti risultati.
Viene spontaneo chiedersi, come mai ci sono voluti ben tre anni per lanciare un’operazione finanziaria, oggi da tutti approvata, in un frangente finanziario e in una situazione economica europea, caratterizzata dagli stessi rischi, dalla stessa stagnazione, già evidente nel 2011. Come mai i grandi esperti e i grandi soloni della finanza europea hanno impiegato tanto, per trovare un sistema di intervento che già due anni prima, nel 2011, era stato attuato da Inghilterra, Stati Uniti ed anche Giappone? Come mai nessuno dei giornalisti e opinionisti esperti di economia e finanza, tutti concordi nell’aspettarsi conseguenze positive dalla Quantitative Easing, non si chiedono il perché di tanto ritardo?
Nel momento in cui sto scrivendo queste note, nella metà del mese di marzo, al di là delle entusiastiche previsioni esternate dai soliti “esperti” i quali si erano ben guardati dal farne cenno prima che Draghi prendesse tale decisione, le reazioni attuali in sede economica, in sede finanziaria, appaiono positive. Le Borse salgono, l’Euro riduce il suo valore nei confronti del Dollaro, facilitando in tal modo le esportazioni e la stagnazione sembra superata. Tuttavia, riflettendo a mente fredda, per quanto ha tratto con il problema nazionale, è a mio parere molto dubbio (oggi ci vuole una certa dose di coraggio per affermare questo) che in sede Nazionale, tale operazione possa incidere nei confronti di un effettivo aumento della domanda.
Come ho scritto in articoli precedenti, la diminuzione della domanda ha costituito il punto fondamentale d’avvio della situazione di crisi. La conseguente riduzione dei consumi è stata dettata da ragioni psicologiche: paura indotta dallo Spread e non da obiettive ragioni di aumento dei prezzi o da diminuzioni dei salari e del loro potere d’acquisto.
Ciò considerato, verrebbe spontaneo attendersi che passata la paura, a seguito della enorme riduzione dello Spread, gli italiani ricominciassero a consumare, portando la domanda ai livelli di prima della crisi. Ma questo non accadrà perché dal 2011 ad oggi, gli italiani, hanno ridotto la domanda, eliminando in moltissimi casi il superfluo e per fortuna, si sono accorti di poter vivere ugualmente bene, evitando, come si è affermato per vent’anni, di vivere al di sopra delle loro possibilità, con le conseguenze a tutti note.
Vi è solo da augurarsi che l’assestamento della situazione, possa portare ad una riduzione della disoccupazione, soprattutto attraverso una più oculata gestione della spesa da parte dello Stato, la riduzione della corruzione, l’emersione dell’evasione e una più equa ripartizione delle risorse e della ricchezza. Se altrimenti ci augurassimo che i consumi ritornassero ai livelli pre – 2011, ricadremmo nell’errore fatto nei trent’anni precedenti. Errori che hanno portato a spreco, diseguaglianze, corruzione, illegalità, malversazioni e pessima gestione della cosa pubblica.
La rimessa in carreggiata dello Stato italiano, non dipende tanto da problemi di carattere finanziario o da grande immissione nell’economia di nuove risorse monetarie (siamo uno dei paesi con il più alto risparmio privato) ma dipende soprattutto dalla eliminazione dell’illegalità, della corruzione, dell’evasione, del lavoro nero, della cattiva gestione della Finanza Pubblica e della mancanza di senso dello Stato e di rettitudine da parte di una grossa percentuale di coloro cui è affidata la responsabilità politica della guida delle Pubbliche Istituzioni.
Sen. Luigi Ramponi