8 gennaio 2016

 

Le iniziative diplomatiche che stanno portando verso la riappacificazione dei rapporti tra gli Stati Uniti e Cuba chiuderanno un lungo periodo di conflittualità tra i due Paesi, durato più di cinquanta anni con, come al solito, conseguenze negative per entrambe le nazioni. Le ragioni del conflitto sono a tutti note ed hanno portato, in momenti diversi, a situazioni di crisi acutissima e tale, in occasione dello schieramento nell’isola di missili sovietici puntati contro gli USA, da sfiorare il rischio vero di una guerra nucleare.

Ora, le due parti si stanno riavvicinando dopo aver preso atto dell’opportunità di porre fine allo stato di conflitto, ciascuna perseguendo propri interessi e vantaggi. Certamente la riappacificazione è favorita da un clima assai più disteso di quanto non fosse quello all’epoca della guerra fredda. Tutto logico, quindi, tutto dettato dalla ricerca di vantaggi per ciascuno. Vi è tuttavia un aspetto particolare, relativo allo sviluppo del dialogo tra i due protagonisti, che va messo in luce e che costituisce un’assai interessante novità. Sia il Presidente Obama, sia quello cubano Castro, hanno ripetutamente e pubblicamente ringraziato Papa Francesco per l’aiuto offerto dal Vaticano all’avvio e allo sviluppo favorevole del dialogo di riavvicinamento. Sono convinto e ne ho anche notizia sicura, che già a suo tempo Giovanni Paolo II s’impegnò in tale direzione, dando vita ad una nuova linea di dialogo, allora non coronata da successo, forse perché i tempi non erano maturi, mentre lo era la visione del Pontefice.

Oggi, grazie anche all’opera di Papa Francesco, come riconosciuto dalle due parti, si va verso la pacificazione e normalizzazione dei rapporti. In ambito internazionale è un avvenimento di grande significato e, per la distensione generale, rappresenta un fatto di grande importanza: la Chiesa Cattolica s’impegna, favorisce, riesce, in una opera di pacificazione.

Non è la prima volta che la Santa Sede e sue emanazioni recitano un ruolo importante nel raggiungimento della pace; basta ricordare l’opera meritoria condotta dalla Comunità di Sant’Egidio per la composizione del conflitto tra Frelimo e Renamo in Mozambico.  La pace tra le due fazioni mozambicane e la fine dei terribili massacri che caratterizzavano quello stato di conflitto fu opera e merito, soprattutto, dell’iniziativa e dell’impegno dei responsabili allora della Comunità e dei capi cattolici Mozambicani, poi sostenuti vigorosamente dal nostro Governo.

Dopo il successo di Cuba, a me pare si stia affacciando una nuova possibilità di raggiungere finalmente la pace, in un’area assai più martoriata da continui conflitti, alla cui conclusione la comunità internazionale ha più volte cercato di giungere. Parlo dell’area mediorientale, significativamente della conflittualità Israelo-Palestinese che da quasi ottanta anni sta costringendo le sue popolazioni a vivere una terribile esperienza di guerre, di tribolazioni, di morti.  Certamente la situazione è diversa, infinitamente più complessa, con esistenza di conflitti di ben altra portata, ma, la volontà di pace di Papa Bergoglio, costituisce oggi, in ogni modo, la più forte delle speranze.

Il riconoscimento delle Stato di Palestina, da parte dello Stato del Vaticano, il conseguente “Accordo Globale” tra le parti che prevede: libertà d’azione della Chiesa, luoghi di culto, problemi fiscali ecc., costituisce un consolidamento del riconoscimento dello Stato Palestinese. L’incontro con Abu Mazen in Vaticano, la sua presenza all’atto della canonizzazione delle due Sante Palestinesi, l’appellativo dato dal Papa a Mazen: “Angelo della Pace”, sono tutti segnali della volontà assoluta del Papa di procedere, sì, ad una normalizzazione delle relazioni con l’Autorità palestinese per garantire la vita dei cristiani in quella zona del mondo, ma sono anche la dimostrazione della ferma volontà del Papa di procedere, nonostante le infinite difficoltà, sulla strada della pacificazione dell’area, secondo una linea d’azione per la continuazione e lo sviluppo dell’incontro dell’otto giugno 2014, quando in Vaticano ricevette sia Abu Mazen che Shimon Perez e, con loro, piantò un albero di ulivo, per la pace.

E’ vero che il riconoscimento della Palestina quale Stato ha anche suscitato reazioni negative in Israele, ma questo era compreso nelle previsioni e, tuttavia, la reazione è stata notevolmente moderata, essendosi Israele limitato ad esprimere “delusione”. Nel frattempo le relazioni diplomatiche tra Vaticano e Israele si mantengono in ottimo stato, mentre è praticamente pronto l’accordo economico tra i due, assai importante per entrambi. Vi è inoltre da considerare che, per tutte e due le parti, e non solo per loro, ma anche per tutti gli stati più o meno gravitanti nell’area, la fine della conflittualità che ha caratterizzato l’area e che ha paralizzato i rapporti costituirebbe un vantaggio per tutti, tanto più oggi, quando si profilano all’orizzonte ulteriori minacce e conseguenti scontri, eccidi, barbarie, portate dall’esplosione di nuovi estremismi.

L’iniziativa condotta da una parte terza, assolutamente non accusabile di perseguire interessi politici o economici di parte, può costituire un riferimento atteso e sicuro, per l’avvio di un dialogo più sereno tra le parti.

Rimane, tra le numerose difficoltà, quella più delicata: l’appartenenza del futuro auspicato arbitro a un credo religioso, là dove la conflittualità assume spesso caratteri, proprio, di scontro religioso. E forse proprio qui sta il cimento più duro per Papa Francesco, superabile solo da incontri ecumenici con i capi delle diverse religioni, sino a trovare una comune dichiarazione di volontà di pace, proprio sotto gli auspici dello spirito di ciascuna tra le loro Religioni, seppur diverse.

Papa Francesco ha questa forza, sostenuto dal fondamento spirituale di pace e fratellanza del Cristianesimo. Dobbiamo crederci e sperare.

Sen. Luigi Ramponi

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