13 giugno 2016
Da qualche mese, le sorti del califfato di Al Bagdadi, il terribile DAESH, stanno volgendo al peggio. Rispetto a quanto appariva appena un anno fa, in termini di inarrestabile sviluppo territoriale, di minaccia terroristica, di enorme forza psicologica basata sulla interpretazione rigorosa ed estremista del credo mussulmano, oggi tutti questi punti di forza sono venuti meno a seguito di una ripetuta serie di sconfitte del califfato.
Sul terreno il DAESH ha perduto il 40% del territorio prima conquistato. Particolarmente gravi le perdite di Palmira di Falluja, di Beiji (con i suoi pozzi di petrolio), di Kuweyeres sulla strada per Rakka, la capitale del califfato e di Sirte in Libia. In aggiunta alle gravi perdite territoriali, sul forte indebolimento del DAESH incidono altri fattori parimenti importanti.
La ridotta capacità di produzione e di vendita del petrolio, unitamente al crollo del suo prezzo nel mercato mondiale, unitamente alla distruzione di una grande parte del sistema infrastrutturale finanziario e dei suoi depositi di denaro pregiato, aggiunta alla perdita di possibilità di imporre tasse e gabelli alle popolazioni dei territori perduti, ha ridotto pesantemente le disponibilità finanziarie. Questo ha indotto al dimezzamento degli stipendi e, addirittura alla mancata assegnazione di paghe ad interi reparti. Il malcontento e le defezioni cominciano ad avere una entità preoccupante.
La difficoltà di ripianare le gravi perdite di personale subite a seguito dei bombardamenti russi, americani, francesi, siriani ecc. Il fenomeno del foreign fighter è praticamente esaurito e tra diserzioni, riduzione di aree su cui imporre la leva e la mancanza di alimentazione di personale dall’estero gli organici si sono pericolosamente ridotti.
Altro ritorno negativo è stato determinato dalla insensata politica svolta nei confronti delle donne che ha fatto crollare certe forme di esaltazione fanatica e di partecipazione da parte di un notevole numero di personale femminile.
Infine, un ruolo non trascurabile lo stanno recitando gli attacchi cibernetici portati da americani, russi, siriani e altri ai sistemi di informazione cibernetici del califfato. Le comunicazioni via Web in uscita dallo stato islamico sono in fortissima attenuazione con conseguente paralisi dell’azione di propaganda ed arruolamento.
Nel prendere atto del forte indebolimento di DAESH, alcuni esperti hanno paventato un inasprimento delle azioni terroristiche in occidente. Ferma restando la cautela sempre necessaria quando si formulano previsioni relative ad azioni terroristiche, non ritengo assolutamente validi tali timori, dal momento che l’avvio di una serio programma di attentati non arrecherebbe alcun vantaggio alla critica situazione del califfato; anzi potrebbe determinare un aumento di reazione, come capitato dopo gli attacchi terroristici in Francia. Inoltre non avendolo fatto nei momenti di forza, non lo può fare nei momento della debolezza. Il dipingere l’Occidente come il nemico principale, è stata una trovata propagandistica che si avvaleva di una diffusa ostilità nei confronti dell’occidente da parte di una larga fascia del mondo arabo, per raccogliere consensi, partecipazione e supporti. Sin dall’inizio è apparso chiaro che “l’impresa DAESH” era una questione di potere interna al mondo arabo, tendente a distruggere i limiti territoriali e i potentati nati dal trattato Sykes-Picot.
Infine, se effettivamente il DAESH avesse voluto attaccare terroristicamente l’Occidente, la enorme vulnerabilità di quest’ultimo, nei confronti di attacchi terroristici ben organizzati, gli avrebbe consentito una facile condotta, di una serie numerosa e facile di attentati. Anche i casi, peraltro limitati di Francia e Belgio, sono il frutto di iniziative isolate e non la realizzazione di un sistema organizzato di attacchi terroristici. Per queste ragioni, ritengo che le possibilità di attacchi terroristici in Occidente sia diminuita, grazie all’indebolimento del DAESH, soprattutto, anche in termini di attrazione nei confronti di isolati elementi estremisti. In ogni modo i sistemi di difesa debbono rimanere ancora attivi.
Sen. Luigi Ramponi